Approfittando del periodo natalizio, noi di cinemio vogliamo regalare ai lettori uno speciale dedicato alla figura storica più rappresentata nel cinema: Gesù. A partire dagli esordi del cinema faremo un excursus dei film che a nostro avviso sono più rilevanti. Buona lettura e…buone feste!
La vita e le opere di Gesù nel cinema: premessa
Sin dai suoi primordi, il mondo del cinema si è sentito attratto dalla figura del Cristo ed ha sentito il bisogno di realizzare delle opere che parlassero della sua vita, con riferimento particolare alla sua Passione.
Le motivazioni sono tante, forse il fascino emanato dall’illustre personaggio o forse se vogliamo considerare il cinema figlio del teatro, il segno di continuità viene da lontano, da quando negli spazi antistanti le chiese venivano rappresentati, in epoca medioevale i miracle plays, sacre rappresentazioni prevalentemente basate sulla vita di Gesù, rappresentazioni che sopravvivono ancora nelle innumerevoli città e cittadine del mondo cattolico in occasione del venerdì santo.
Questo speciale non ha la pretesa di raccogliere tutto quanto è stato realizzato sulla figura di Gesù nel cinema, ma in linee generali, si propone di dare uno sguardo generale al fenomeno.
Perchè raccontare Gesù
Non sono moltissimi i registi che hanno scelto di raccontare Gesù anche se la sua figura precede Napoleone come personaggio storico più rappresentato cinematograficamente. Quelli che lo hanno fatto però hanno trovato delle fonti diverse di ispirazione, basate sull’incontro personale che hanno avuto col Cristo.
Incontro personale perché anche un regista manifestatamente ateo come Pasolini ha voluto dare il suo punto di vista su Gesù e in particolare sul suo modo di affrontare il dolore. La duplice natura di Gesù Cristo (umana e divina) è sempre stata una sorta di pietra d’inciampo per ogni cineasta. La sfida più grande? Forse il miracolo, da rappresentare in maniera eclatante o sommessa, come simbolo.
Non a caso le rappresentazioni filmiche su Gesù, numerosissime ai primordi del cinema, sono diminuite in seguito. Non più desiderio di impressionare ma imperiosa volontà di dare e lasciare un segno, di dire cosa si pensava su questa figura. Film come lectio divina, come catechesi, ma anche bisogno di trasmettere un messaggio all’uomo, allo spettatore d’oggi.
Di qui l’evoluzione della cinematografia cristologica, il messaggio sempre attuale che a distanza di anni continua a far parlare.
I primordi
Prima di parlare direttamente del rapporto tra la vita di Gesù e il cinema è da premettere la relazione che c’è stata sin dall’inizio tra Chiesa e settima arte. Sin dal 1896, Vittorio Calcina, agente degli inventori del cinematografo, i fratelli Lumière, ottiene il permesso di filmare il papa Leone XIII e di lì la concessione di riprendere tutti gli eventi ufficiali presso la Santa Sede.
Forse spinti anche dall’interessamento verso il cinematografo da parte degli organi ufficiali della Chiesa, i primi pionieri della nuova arte iniziarono a realizzare i primi film di ispirazione religiosa: Passion Lumière (1897), Le Christ marchant sur les eaux (1899) realizzato dal famoso Georges Méliès e La passion du Christ (1902/1905) di Nonguet e Zecca.
Questi film venivano accolti positivamente negli ambienti ecclesiastici e venivano considerati come un mezzo di evangelizzazione, grazie anche all’apertura nei confronti del nuovo del pur anziano pontefice del tempo.
A questo punto occorre fare una piccola digressione. A quali fonti si sono ispirati i realizzatori cinematografici? Effettivamente i Vangeli danno pochissimi dati sulla vita di Gesù e quindi ciascun regista ha sempre dovuto fare di necessità virtù, attenendosi al racconto evangelico, ma attingendo anche a leggende e aggiungendo situazioni totalmente inventate allo scopo di attirare un numero maggiore di spettatori.
Per questo motivo, le autorità ecclesiastiche sono sempre state molto attente e hanno osservato da vicino e con grande interesse ogni nuova pellicola con tematica cristologica. Altro problema da risolvere è stato quello relativo all’immagine di Gesù Cristo e anche in questo caso ci si è basati sull’icona tradizionale tramandata da secoli da artisti e scultori di tutto il mondo.
Per quanto riguarda il linguaggio da usare anche qui le scelte sono state molteplici: ai pionieri del mezzo cinematografico sicuramente l’argomento deve essere risultato più facile essendo il pubblico ancora infante, ma via via con il passare del tempo si è stati costretti a condurre lo spettatore verso sentieri più impervi aggiungendo effetti speciali, elementi sentimentali e drammatici al fine di catturarne l’attenzione e di non realizzare quello che in gergo si definisce flop.
Da sempre quindi l’approccio al genere cristologico è stato vario tenendo conto della personalità del regista e del suo personale approccio con la fede.
Tornando alle prime rappresentazioni filmiche sulla vita di Gesù occorre dire che la fase che ha da sempre maggiormente interessato il regista è stata quella relativa alla sua Passione e morte, sia per antico retaggio popolare sia anche perché è quella meglio narrata nei Vangeli, con ritmo più serrato e quindi più adatto a una rappresentazione cinematografica.
Tra la fine del XIX secolo e il primo decennio dello scorso secolo si assiste a una vera e propria gara tra registi e quindi ci sono molti film di argomento cristologico che appaiono sulle scene. Tra essi è da ricordare la Passion di Horitz composta da tredici inquadrature tutte indipendenti tra loro tutte della lunghezza di diciassette metri e inerenti ai maggiori episodi della vita di Gesù. Tale pellicola è la ripresa di una sacra rappresentazione avvenuta in Boemia.
Altra opera degna di nota è la Passion Play realizzata nel 1897 a New York e filmata sulla terrazza del Grand Central Palace. L’impresario realizzatore, Rich G. Hollaman, non badò a spese, facendo issare dei cammelli in cima al grattacielo per rendere le scene più realistiche.
Tornando a Méliès, uno dei più celebri registi del primo periodo cinematografico, per il suo Christ marchant sur les eaux del 1899, realizza il primo effetto speciale della storia del cinema religioso con il metodo della sovraimpressione per mostrare agli spettatori il miracolo di Gesù che cammina sull’acqua.
Le più celebri Passioni dell’inizio del secolo sono quelle prodotte dalla casa Pathé ,concepite come sorta di work in progress in quanto alle scene già realizzate potevano aggiungersene altre a seconda dei gusti del regista o della platea a cui venivano destinate. Si arrivava così a pasticci confusi con scene di epoche differenti e cambiamenti repentini dello stesso protagonista principale.
Tra le più famose Passions Pathé sono da ricordare La Vie et Passion de Jésus Christ di Zecca (1903) e un’altra versione dal titolo omonimo successiva di dieci anni, realizzata da Maurice Maitré, probabile summa delle precedenti edizioni e di cui esiste una versione per il pubblico nordamericano The life of Our Saviour in versione colorizzata.
Il successo delle pellicole fu tale da indurre il produttore francese Gaumont a realizzare a sua volta una Vie du Christ affidata a Victorin Jesset. Da questo punto in poi il cinema di tematica religiosa tenta un’evoluzione passando da pellicole alquanto brevi realizzate con fondali dipinti e con una recitazione di stampo popolar-teatrale a narrazioni più articolate che tentano di superare l’unico piano sequenza caratteristica dei film dai tempi di Lumière fino al primo decennio del XX secolo.
Una delle prime megaproduzioni religiose è quindi From the Manger to the Cross (1913), pellicola filmata in Egitto e in Palestina e realizzata dalla casa di produzione americana Kalem Company. L’opera si apre con una didascalia con la mappa della Palestina proprio a dimostrazione dei luoghi che hanno visto la location del film.
Nel film si parla degli episodi più noti della vita di Cristo omettendone alcuni e ponendo in particolare l’accento sugli episodi che vedono il positivo rapporto tra le donne e Gesù (la sceneggiatrice del film era appunto una donna, l’attrice Gene Gauntier). Gesù e la sua vita escono dalla Bibbia per assumere una dimensione più ampia in chiave simbolica.
Termina qui la prima parte dello speciale. Continua a leggere la seconda parte.