Ritroviamo oggi Riccardo Di Gerlando che ci presenta, dopo L’amore incompreso e 33 giri, un nuovo originale cortometraggio: Tattoo
Tattoo di Riccardo Di Gerlando
Un anziano signore (Massimo Botti), che ha perso la nipote uccisa dal fidanzato, arrestato per omicidio ma dopo qualche anno già in libertà, si appassiona all’arte del tattoo. Potrà quest’arte alleviare il dolore per la perdita subita?
Tra finzione e grottesco, Tattoo indaga in maniera originale la sofferenza dei parenti delle vittime di omicidio che spesso vedono aggiunta al loro dolore il fatto che l’omicida sconti solo qualche anno in galera. In questo caso a soffrirne è un anziano signore che seguiamo nel suo apprendimento dell’arte del tatuaggio grazie al quale compirà la propria vendetta. Riccardo di Gerlando colpisce con una storia molto originale curata nei minimi particolari sotto ogni punto di vista (sceneggiatura, fotografia e musiche). Bravissimo il protagonista, l’attore già noto Massimo Botti, grazie al quale lo spettatore segue incuriosito la storia fino all’epilogo finale.
Le domande al regista
Cominciamo dal tema del corto. Com’è nata l’idea di Tattoo e come l’hai sviluppata?
L’idea mi è venuta ascoltando ormai troppi fatti di cronaca aventi un punto in comune: la giustizia inesistente. Ho sviluppato la storia esclusivamente partendo dall’elemento “vendetta”. Una vendetta pulita, elegante ma forse più spietata di altre. Il protagonista è un anziano. Un saggio. Un uomo che ha perduto la nipote barbaramente assassinata. Poi la beffa: il sistema giudiziario che sconta la pena al condannato e una società solidale che concede lui un lavoro e la prospettiva per una nuova vita. Da lì arriva l’illuminazione dell’uomo: la passione per l’arte Tattoo.
Protagonista quasi assoluto del tuo corto è Massimo Botti. Come hai pensato a lui e come hai lavorato con lui per la costruzione del personaggio?
Questo è il terzo cortometraggio che giro con lui. Un professionista vero. Quando ho scritto Tattoo ci ho visto subito Massimo. Mi serviva un uomo che esprimesse sofferenza nel volto, asciutto, dolce e gentile. Poi chiaramente abbiamo lavorato sulla sua mutazione: l’ira della vendetta. Massimo è davvero una favolosa conferma.
Il tema del corto è un pò particolare, una vendetta sui generis a fronte di un tragico reato. Vuole essere un’accusa contro la giustizia, quella italiana in particolare?
Assolutamente si. Una giustizia perbenista che muove sentenze insensibili e poco chiare. Non vorrei spendere più parole.Basta accendere la TV e capire. Siamo in un paese dove ogni piccolo fatto di cronaca diventa un cult da esportare nel palinsesto televisivo o addirittura al cinema. Prodotti per portare audience.
Come sono andate le riprese questa volta? Vuoi raccontarci un po’ i retroscena di questo lavoro? Quanto è costato?
Le riprese sono durate circa 6 giorni. Eravamo una piccola troupe ma dotati di grande entusiasmo. Abbiamo girato nell’imperiese specie in zone dell’entroterra come Montalto Ligure, Cipressa ed Imperia. Tra gli attori spicca un rettile fantastico (una pogona o drago barbuto) che ho voluto assolutamente per realizzare l’idea del drago finale (realizzato da Samuele Pino). Un lavoro molto faticoso ma che ora ci sta ricompensando visti i verdetti di alcuni festival internazionali.
Il corto è stato prodotto da Sanremo Cinema e dall’imprenditore trentino ( lo stesso de Nella tasca del cappotto di mio fratello) Giuseppe Dalsasso. Costo stimato 3 mila euro.
Anche tuo fratello Marco è regista come te e anche a lui ho fatto la stessa domanda. Quando vi vedremo di nuovo lavorare insieme?
Siamo cresciuti assieme come registi. Abbiamo realizzato moltissimo assieme e devo dire che col tempo (da separati) abbiamo anche acquisito stili diversi. La nostra divisione e’ dovuta per motivi di lavoro e di zone di residenza diversa. Abbiamo pero’ il desiderio di lavorare ad un nuovo film assieme.
E per concludere uno sguardo al futuro? Dopo tanti cortometraggi sei pronto per il salto al lungo? C’è già un progetto nel cassetto?
Ci sono due lungometraggi a cui stiamo lavorando attualmente al soggetto e alla sceneggiatura. Uno è un noir alla Bergman (Il settimo sigillo) e l’altro è la trasposizione di un nostro vecchio corto (C’era una volta il cinema) verso un lungometraggio.
Ringrazio Riccardo Di Gerlando per l’intervista e gli faccio un grande in bocca al lupo per il suo nuovo progetto.