Registi emergenti: Lutto di civiltà di Pierluigi Ferrandini

Riprendiamo ancora una volta il Progetto Memoria per parlare del quarto dei cinque cortometraggi finanziati: il titolo è Lutto di civiltà e ne parliamo con il regista Pierluigi Ferrandini.

Attore e regista, Pierluigi Ferrandini vanta una collaborazione decennale con Sergio Rubini di cui attualmente è collaboratore alla regia e con il quale ha anche girato, in qualità di interprete, Tutto l’amore che c’è. Il mese scorso ha collaborato con Rubini anche per la performance ‘La prima volta davanti all’obiettivo‘, opera sperimentale all’interno delle serate Rosso Di Sera della rassegna Frontiere – La prima volta.

Il suo penultimo cortometraggio Vietato fermarsi ha vinto più di 100 festival nazionali ed internazionali.

Lutto di civiltà

Il cortometraggio racconta gli ultimi giorni di vita di Giuseppe Di Vagno primo parlamentare italiano ad essere assassinato ed il cui omicidio coincise con l’entrata in Parlamento di Benito Mussolini.

Con una rievocazione storica, dalla fotografia ai costumi, davvero ineccepibile, Pierluigi Ferrandini racconta con dolorosa intensità un pezzo della nostra storia quasi dimenticata. Grazie alla completezza dei dialoghi e all’intensità delle scene, si ha infatti l’impressione, nonostante la breve durata (appena 15 minuti), di assistere ad un lungometraggio.

Davvero molto bella ed intensa la fotografia, in particolare i primi piani del protagonista che, nonostante le poche parole, riesce ad esprimere contemporaneamente la forza degli ideali in cui crede e la fragilità dell’uomo che teme per la sua vita. Degni di nota i due momenti, iniziale e finale, nei quali, con l’ausilio delle sole immagini, Ferrandini riesce a mostrare il dolore, dapprima privato e poi di tutto un paese, per la perdita del politico.

Le domande al regista

In quanto facente parte del Progetto Memoria il corto doveva ispirarsi alla biografia di Giuseppe Di Vagno. Come sei arrivato alla sceneggiatura?

Il bando Memoria conteneva una piccola biografia di tutti i personaggi selezionati dalla AFC e quella di Di Vagno mi colpì profondamente perchè ritenni da subito che il parlamentare fosse stato più di tutti vittima di quel processo di cancellazione della memoria pilotato che troppo spesso accade a opera dei regimi totalitari.

Non ne avevo infatti mai sentito parlare, eppure il suo caso, se vogliamo, è importante quanto quello di Matteotti! Il Fascismo aveva di fatto vinto la sua battaglia e raccontare la vicenda umana del parlamentare pugliese è stato quindi per me come una missione di riscatto.

Grazie agli studi del professor Vito Antonio Leuzzi e al sostegno della Fondazione Giuseppe Di Vagno, nella persona del suo direttore Gianvito Mastroleo, sono riuscito poi ad attingere alle fonti originali, agli scritti dell’onorevole pugliese.

Quali scelte hai fatto allontanandoti, se l’hai fatto, dalla biografia del parlamentare?

La sfida è stata proprio quella di operare una scelta narrativa puramente filologica, per poter finalmente scrivere nei cartelli iniziali: tutti i fatti di seguito narrati sono ispirati a eventi realmente accaduti. E non è stato affatto semplice: il fatto che i giovani assassini si fossero fermati a sparare ai cani prima di infierire sul corpo di Di Vagno, il suo funerale sotto la pioggia… tutte cose veramente complicate da riprodurre cinematograficamente.

Avendo girato altri lavori in precedenza avrai sicuramente notato la differenza legata ad una produzione con maggiori fondi. E’ stato tutto più semplice?

Non mi scorderò mai il colloquio preliminare con Daniele Basilio e Sonia del Prete per discutere la reale fattibilità del progetto: in tutta onestà nessuno di loro credeva che con quei soldi sarei riuscito a raccontare una storia in costume, con cavalli, carrozze, armi d’epoca, cani ammaestrati, pioggia, decine e decine di attori e locations!

Eppure mi hanno dato la possibilità di buttarmi in questa scommessa e sono molto contento di non aver tradito la loro fiducia.

Ci sono state altre difficoltà non strettamente legate al budget?

Come se tutte le difficoltà tecnico-logistico-produttive appena elencate non fossero bastate – e comunque l’organizzatore Raffaele Petrone ha fatto sì che fossero tutte brillantemente superate – il problema più grosso era rappresentato dalla scelta del protagonista: Peppino Di Vagno era soprannominato Il gigante buono, per via della sua enorme mole e della sua indole bonaria.

Com’è avvenuta la scelta del cast, in particolar modo del protagonista Simone Prosperi?

Quando ho incontrato Simone Prosperi ho capito che il mio progetto era in qualche modo “benedetto”. Simone è un archeologo di Pescara, senza alcuna esperienza attoriale, amico di vecchia data della mia fidanzata. Appena l’ho visto mi sono tremate le ginocchia, non ne parliamo poi quando egli stesso mi ha raccontato che alle scuole medie i professori lo chiamavano il gigante buono!

Non mi sono mai posto il problema del fatto che non avesse mai recitato e che dovesse interpretare un ruolo che intimorirebbe l’attore più navigato (chiedete a un attore se preferirebbe fare il buono o il cattivo!). Mi è bastato cogliere la reale bontà e genuina sincerità di Simone per capire che avrebbe fatto bene, nella mia piena consapevolezza che il mestiere dell’attore cinematografico si realizzi nell’assenza di qualunque forma di recitazione.

Simone ha sempre condiviso tutto ciò che ha recitato.

Com’è stata l’aria sul set? Hai degli aneddoti da raccontarci?

Non ho mai vissuto un’esperienza simile a livello di affiatamento, empatia, voglia di fare gruppo: eravamo così tanto accomunati dall’idea della follia dell’impresa da darci anima e corpo e sostenerci reciprocamente con il sorriso. Ogni minuto di ogni giorno di ripresa rappresenta per me un aneddoto.

Da oltre dieci anni collabori alla regia con Sergio Rubini. In che modo questa collaborazione ha contribuito alla tua crescita professionale?

Rubini è quanto di più vicino ci sia al modello antico di Maestro: non ti insegna nulla, ma ti permette di stargli accanto. Sta a te riuscire a cogliere i segreti della sua abilità.

Quali sono i tuoi progetti futuri? C’è un lungometraggio nel cassetto?

Non basta un cassetto a contenere i miei progetti, ma questa è una condizione comune a tutti i filmakers. Purtroppo il panorama dell’attuale cinema italiano è abbastanza avvilente, ma io non dispero che un giorno venga dato spazio a lavori non necessariamente concepiti solo per riempire le tasche dei mercanti d’arte, ma anche le anime del pubblico, a costo di scossoni e scomodi rispecchiamenti…

Prima di chiudere voglio ringraziare Pierluigi Ferrandini per la sua disponibilità e fargli un grande in bocca al lupo per i suoi progetti futuri.

4 Comments

  1. Dr. Paolo Bellantuono
  2. Antonella Molinaro
  3. Anna Mele

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