E’ un piacere per noi avere ancora una volta come ospite di questa rubrica il regista Davide Sibaldi. Dopo averci parlato qualche anno fa della sua opera prima L’estate d’inverno, oggi ci racconta In guerra, il suo secondo lungometraggio che a partecipato all’ultimo Torino Film Festival nella sezione After Hours.
In guerra
Si apre con un’azione di violenza ma si apre alla speranza. E’ girato perlopiù di notte, complice una fotografia ottima che illumina ogni punto della città solitaria e ostile.
In guerra è un film sulla rabbia di ognuno di noi, su quelle paure metropolitane che già quasi cinquant’anni fa furono oggetto di una canzone di Giorgio Gaber, grande cantautore poeta.
A volte un assolo, spesso e per gran parte confronto tra due outcast: Daniel che si lascia guidare da una cieca rabbia e la ragazza bianco vestita saggia ma al tempo stesso spaventata. E nel deserto della città che dorme, mentre la città dorme l’aggressività di chi non vuole o non può riposare esplode insensata che sia d’azione o di parola. Il far del giorno sembra placare la collera nascosta e quando i conflitti interiori si risolvono la luce si impadronisce della città che nuovamente brulica di vita.
Parafrasi dell’agitazione interiore, forse eccessivamente carica nel linguaggio, la pellicola affidata a giovani ma talentuosi interpreti segue fondamentalmente un’impostazione teatrale perché basata molto sulla recitazione di ognuno. Bella e pervasa da una luce calda e sinistra al tempo stesso la lunga parte ambientata in notturna. Interessante esempio di vita metropolitana.
Le domande a Davide Sibaldi
Ciao Davide, bentornato su cinemio. Iniziamo dal soggetto di In guerra. Come sei arrivato a questa storia e cosa volevi raccontare?
Era da molto tempo che volevo realizzare un film sulla violenza urbana in stretta connessione con l’attuale situazione culturale e sentimentale dei giovani italiani e dei giovani occidentali. Ed era anche da molto tempo che volevo realizzare un film in uno stile produttivo simile a quello con cui avevo girato tutti i miei cortometraggi adolescenziali: l’autoproduzione e quindi l’assenza di una casa di produzione alle spalle dell’operazione.
Volevo riuscire a realizzare il cinema come un’arte pura. Libera. Un’arte da amare. Così ho trovato una storia da amare e un progetto produttivo da amare e li ho realizzati. E questo mio autoprodurmi (perché i 6.000€ del budget li ho investiti io solo) mi ha permesso di creare un film d’azione all’interno di un paese in cui opere di tale genere son sempre viste con immenso sospetto e timore dai produttori.
Ma l’essere l’unico produttore dell’opera mi ha permesso di osare ancora di più e quindi di apportare una serie di drastici cambiamenti all’interno della struttura classica del cinema d’azione rendendo In guerra un’opera del tutto anomala se confrontata con i suoi simili statunitensi. Questo si vede soprattutto in due punti
- I due protagonisti, rappresentanti dei giovani italiani che lottano per la cultura del paese, sono l’opposto dei classici eroi hollywoodiani, e cioè non sono poliziotti, ex-poliziotti, detenuti. militari o ex-militari ma un scrittore di libri per bambini e una giovane arpista
- Un’idea di violenza nuova. Iper-reale. Mai gratuita ma sempre rispettosa dei personaggi che coinvolge. Spettacolare e spiazzante nel suo essere estremamente reale.
Per diversi scontri, infatti, il coreografo è stato Omar Vergallo, uno tra i più importanti allenatori di sport da combattimento in Italia. Con lui abbiamo lavorato sul realismo degli scontri fisici. E il risultato sono stati duelli a mani nude totalmente differenti da quelli a cui siamo abituati a vedere nei film americani: i nostri sono velocissimi, fulminei. Come duelli tra samurai. Veri.
Del film hai curato interamente regia, sceneggiatura, produzione, montaggio, scenografie, fotografia colore, color correction. Curare tutti questi aspetti da solo dev’essere stato per te un’impresa titanica ma questo ti ha permesso di mantenere basso il budget. Vuoi raccontarci com’è andata durate le riprese e in post produzione?
È stata una grande impresa: imparare a usare alla perfezione una mezza dozzina di programmi per il montaggio, la color correction e gli effetti speciali 3D ha richiesto tempo ma, oltre che a ribassare il budget, ha permesso di osare dove produzioni più grandi non avrebbero osato. Un esempio: ho potuto creare degli effetti cromatici estremi (e professionali) colorando le strade notturne della città di blu, verde, giallo, rosso e azzurro.
E rendendo il tutto nuovo ed estremamente credibile per l’occhio dello spettatore. In alcune scene, infatti, i personaggi si trovano a camminare in strade azzurre nelle quali, però, i lampioni proiettano fasci di luce gialla. E, quando i protagonisti entrano in queste docce di colore, perdono la patina azzurra che li copriva e si immergono nel caldo giallo delle illuminazioni notturne. Una color correction molto particolare, soprattutto in Italia.
Per quanto riguarda la produzione effettiva del film, certo il merito va diviso tra tutti i componenti del cast della crew. La troupe con cui giravo era formata da me, dal direttore della fotografia e operatore Marco Spanò e dal fonico Mauro Magnani (che poi ha curato tutta la post-produzione audio e il sound design). Per poche sere abbiamo avuto un Assistente al Direttore della Fotografia, Jacopo Falsetta.
Ma il più delle volte eravamo solo in tre a fare un lavoro per il quale, normalmente, ci sarebbero volute almeno dieci persone in più. Ma nessuno di loro si è mai lamentato. Hanno lavorato meravigliosamente bene perché, oltre ad essere grandi professionisti, anche loro amavano il progetto e ci credevano nel profondo.
E lo stesso vale per tutti gli attori. Anna Della Rosa e Fausto Cabra, i due protagonisti sono abituati a produzioni teatrali molto grandi (Fausto lavora costantemente con Gigi Proietti e nel 2015 sarà protagonista, accanto a Fabrizio Gifuni e Massimo Popolizio, di uno degli spettacoli della LEHMAN TRILOGY diretta da Luca Ronconi; mentre le più recenti produzioni di Anna l’hanno vista protagonista accanto a Toni Servillo, Massimo Popolizio, Sergio Rubini e Michele Placido) ma non hanno battuto ciglio davanti a una produzione cinematografica assai ridotta come quella di In guerra e hanno sempre dato il massimo con energia, coraggio e determinazione.
Così come il resto del cast, formato da giovani attori tra i migliori del teatro italiano: Alberto Onofrietti, Silvia Giulia Mendola, Alessandro Lussiana, Alessandra Salamida, Michele Di Giacomo, Giuseppe Sartori, Loris Fabiani, Silvia Pernarella, Fabrizio Martorelli, Vanessa Korn, Dario Sansalone, Camillo Rossi Barattini, Luca Stano, Francesco Pacelli, Emanuele Fortunati e, certo, Roberto Brancati. Tutti hanno sposato il progetto e al suo servizio hanno messo e mettono la loro grande professionalità e la loro grande passione.
Termina qui la prima parte dell’intervista al regista Davide Sibaldi per il suo film In guerra. Continua a leggere la seconda parte.