Arriva oggi nelle sale italiane il nuovo film del regista Matteo Garrone, in contemporanea con la presentazione nella Selezione Ufficiale al Festival di Cannes e a distanza di tre anni dal suo ultimo Il Racconto dei Racconti: liberamente tratto dalla storia del Canaro della Magliana che tanto fece discutere nel lontano 1988, arriva al cinema Dogman.
Dogman
In una geograficamente incerta periferia romana dove l’unica legge che vince è ancora quella del più forte, Marcello (Marcello Fonte; Asino Vola, Io sono Tempesta) è un piccolo uomo mite e dal sorriso sincero che vive le sue giornate costantemente nel quartiere tra l’amore per la figlia, i pranzi con gli amici e il lavoro nel suo modesto salone di toilettatura per cani. Tra gli amici di Marcello c’è però anche Simone (Edoardo Pesce; Cuori Puri, Fortunata), ex pugile cocainomane che approfitta della sincera bontà del primo per chiedergli favori e aiuti poco puliti.
Dogman – il trailer
Anime nere
Assistendo alla proiezione di questo nuovo, nono, film del regista romano classe 1964 si ci rende conto della capacità compositiva che ha raggiunta attraverso gli anni, intuibile già negli ultimi lavori ma che qui sembra raggiungere una nuova consapevolezza, accanto ad un sentimento meno raccontato nel cinema di Garrone che è quella della bontà, del buon sentimento e che bene fa da contrasto qui al nero, cromatico ed emotivo, che vivono la storia e i personaggi.
Come il migliore degli autori, Garrone prende uno spunto da un fatto di cronaca brutale avvenuto a Roma negli anni ottanta per raccontare una storia che riesce a mettere sullo stesso piano l’universale e il personalissimo, laddove i sentimenti che si mettono a contrasto, lo sguardo tracciato non solo nella storia ma anche sui volti (e grazie ai volti) dei due interpreti protagonisti Marcello Fonte ed un grandissimo Edoardo Pesce sono quelli di archetipi emotivi che tutti noi abbiamo sentito e/o vissuto.
Personalissimo poi perché la macchina da presa è in mano a Garrone, appunto, che decide di rendere qui il surreale che sempre fa da contrappunto all’iperrealismo del suo cinema più sottile, quasi immateriale ad un occhio che non permea la superficie per andare a fondo: qui si racconta una novella, dopotutto, cosa che ha fatto già Garrone in passato, e il suo personaggio alla fine della corsa ha tentato la rivalsa, una possibilità mista ad errori e incertezze, che è comune a molti altri personaggi della sua filmografia. Quando l’opera va poi verso l’epilogo, il surrealismo fino ad ora silente prende forma e chiude questo girone dell’inferno.
Ed ecco che l’opera funziona perché sono funzionali ad essa ognuna delle sue parti: da uno copione che gioca a sottrarre (Ugo Chiti, Massimo Gaudioso e lo stesso Garrone) all’utilizzo dello spazio e delle scenografie, la tavolozza di colori e il bellissimo lavoro sulla fotografia di Nicolaj Bruel come la costruzione sonora forte che riecheggia anche grazie alla (quasi) totale assenza di un reale commento musicale.
E poi c’è lui: non si può che sottolineare la bellezza e le sensazioni provate nell’assistere alla forza bruta, al coraggio (di)mostrato e all’umile fierezza del corpo e del volto di Marcello Fonte, attore non attore calabrese da cui, ancora una volta, Garrone riesce a portar fuori tutta la verità permettendosi cambi estremi di intenzione e sguardo dentro singole inquadrature (oltre alla sempre sacra possibilità di girare il film in sequenza, ovvero in ordine cronologico) che rende Dogman un’opera che sfiora il sublime e che conferma ancora una volta un Autore che non ha paura di sporcarsi le mani e che, insieme a pochi altri della sua generazione, oggi ha ancora la forza, la voglia e il coraggio, di farci male per donarci una verità falsata della vita che toccando sapori universali diventa tutti. E vi assicuro che questo è (grande) Cinema.