Speciale Natale: Gesù nel cinema degli anni ’60 e ’70

Dopo aver raccontato del cinema dei primi del ‘900 e di quello fino agli anni ’60 continuiamo a parlare della figura di Gesù nel cinema entrando nel pieno dei kolossal hollywoodiani ma dando anche un’occhiata al cinema italiano.

di Francesca Barile

Il Re dei Re (1961)

Il titolo fa pensare ad un eventuale remake del kolossal di Cecil B. de Mille del 1927 invece l’intento di Nicholas Ray (Gioventù bruciata, Johnny Guitar tra i suoi maggiori successi) è assai diverso e per questo gli provoca un’ammonizione da parte della Legion of Decency per voluta trascuratezza biblica.

Ray sfronda da ogni sentimentalismo e da ogni retorica il film, memore anche della scuola neorealista per raccontare una storia dal suo punto di vista, scevra di una visione del sacro o del trascendente (le guarigioni sono simboli e il regista sceglie di rappresentarle con lo stratagemma di una mano che si muove nell’ombra proprio  per non perseguire il sensazionalismo in voga fino ad allora).

Il Gesù di Ray è –richiamo questo al suo precedente film Gioventù bruciata- il giovane in lotta per la conquista dei suoi ideali ma è soprattutto la forza dell’idea, idea che lo porta a lottare e a sacrificarsi ed in questo la vicenda di Gesù e la presenza storica dei romani in Palestina sono strettamente connesse così come pure appare in tono più sfumato il tradimento di Giuda, colpevole di non avere avuto sufficiente fiducia, ma quasi giustificato nella sua umanità.

Pur rischiando il politically incorrect il film conquista ancora oggi e questo lo si vede anche grazie ai continui passaggi in televisione. Validissimi i suoi interpreti,da Jeffrey Hunter, fino ad allora buon caratterista in pellicole western o di ambientazione bellica a Robert Ryan, un asciutto Giovanni Battista.

La voce fuori campo è affidata nell’originale ad Orson Welles mentre nella versione italiana è del nostro grande Gino Cervi.

Il Vangelo secondo Matteo (1964)

Quasi contemporaneo del film di Ray Il vangelo secondo Matteo è uno dei capolavori del poeta e regista Pier Paolo Pasolini ed anche una perla della cinematografia religiosa, straordinario omaggio al sacro da parte di un laico o meglio di un ateo professo.

Pasolini segue in maniera molto fedele il vangelo di Matteo girando in alcune zone dell’Italia del Sud tra cui Matera perché analoghe ai luoghi dove si svolse la vicenda terrena di Cristo. Protagonista maschile lo spagnolo Enrique Irazozqui, ieratico, però lontano dall’immagine tradizionale del Cristo proposta fino ad allora dalla cinematografia  doppiato da un severo Enrico Maria Salerno mentre Maria è la madre del poeta per la prima e ultima volta sulla schermo che affida le imperfezioni della sua età cadente alla figura della Vergine.

Tra gli altri interpreti per di più non professionisti secondo lo stile di Pasolini (lo stesso protagonista principale fu scelto mentre si trovava casualmente a passare per il set) una giovanissima Paola Tedesco nel ruolo di Salomè, la scrittrice Natalia Ginzburg in quello di Maria di Betania e il pupillo di Pasolini, Ninetto Davoli nel ruolo di un pastore.

Splendida la colonna sonora, di matrice classica come già in altri film pasoliniani, spiccano tra gli autori scelti Bach e la sua Passione secondo Matteo, Mozart e la sua Messa funebre massonica e il Gloria, recitato in latino,  di una messa congolese.

La fedeltà al vangelo è quasi assoluta, ma ci sono sottili riferimenti all’attualità con i soldati romani che sono vestiti da celerini e quelli di Erode vestiti da fascisti. Dice L’osservatore romano organo ufficiale del Vaticano all’uscita del film: “Fedele al racconto non all’ispirazione del Vangelo“.

Il film non è una ricostruzione storica fedele, ma una trasposizione cinematografica della visione di Matteo, ossia del modo in cui ha inteso la vita di Cristo, non attraverso una disamina storicistica o storica, ma solo mitica. Non vi è nel film una ricostruzione storica, ma, come lo stesso Pasolini definisce:

… una specie di ricostruzioni per analogie. Cioè ho sostituito il paesaggio con un paesaggio analogo, le regge dei potenti con regge e ambienti analoghi, le facce del tempo con delle facce analoghe; insomma è presieduto alla mia operazione questo tema dell’analogia che sostituisce la ricostruzione.

Non è quindi un film storico come le colossali produzioni americane erano solite fare. Il film non vuole essere una ricerca illustrativa ma vuole dare il senso della poesia che c’è nel Vangelo.

La più grande storia mai raccontata

Uscito nel 1965 e girato in Cinemascope, il film diretto da George Stevens, è un ritorno al genere kolossal che aveva avuto tanto successo nel decennio precedente. I vangeli sono infatti manipolati per privilegiare la spettacolarità mentre grande rilevanza viene data alle scene di massa in modo da suscitare maggiore pathos nello spettatore.

Girato nello Utah il film si avvale della partecipazione di uno stuolo di all stars in una serie di camei, tra gli altri infatti John Wayne nel ruolo del centurione (anche se sul piano recitativo rimane sempre fedele al suo ruolo di americano conservatore) e il prestante Charlton Heston, non nuovo a film religiosi, in quello di Giovanni Battista, mentre il ruolo principale è riservato a Max von Sydow che interpreta un Cristo  ieratico e solenne.

Jesus Christ Superstar (1973)

Diretto da Norman Jewison il film costituisce un capitolo a parte nella storia del cinema cristologico. Si tratta infatti della trasposizione filmica di un  musical, già album di successo e uscito in un periodo piuttosto caldo. Piena epoca hippy, postsessantotto il film, come già il musical ottenne uno strepitoso successo ma anche feroci critiche da parte degli ambienti più conservatori ed è incentrato sugli ultimi sette giorni della vita di Cristo anche se il film di Jewison si apre con una troupe cinematografica che deve realizzare un film su Gesù per poi entrare nel vivo della vicenda.

Girato in Israele (uno dei pochissimi film nella storia della cinematografia cristologica ad essere ambientato nei luoghi originali) dovette vedersela con  contrasti politico-diplomatici e con beghe amministrative. Le figure dominanti della storia sono tre: Gesù, tratteggiato come una rock star in declino, l’ambigua Maria Maddalena e Giuda, interpretato dal grande attore di colore Carl Anderson, raffigurato come una vittima immolata suo malgrado per portare avanti il tradimento.

Non pochi i riferimenti all’attualità, i Romani sono dei nazisti e la guerra del Vietnam, allora in pieno corso, è richiamata in chiave abbastanza esplicita in più di una scena. Il Cristo del film è un hippy che, come gli altri giovani del tempo, lancia un messaggio di pace, di amore e di repulsione nei confronti della guerra e della tirannide, privilegiando quindi l’umanità più che la sacralità di Gesù ma rispecchiando anche i dettami postconciliari e il vento di rinnovamento che agitava la società ma anche la Chiesa dei primi anni Settanta.

Termina qui la terza parte dello speciale. Continua a leggere la quarta parte.

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