Film d’esordio scritto, diretto e interpretato da Ana Asensio, Most Beautiful Island esce nelle sale italiane il 16 agosto. Vincitore del premio della giuria per la migliore storia al SXSW (South by SouthWest) Film Festival di Austin nel 2017, l’opera prima dell’attrice spagnola vede tra i suoi interpreti anche Natasha Romanova, nella parte di Olga, e Caprice Benedetti in quella di Vanessa.
Most Beautiful Island
L’isola più bella dell’ironico titolo è quella di New York, dove approdano in cerca di fortuna persone varie ed eventuali, provenienti dai posti più disparati e con i più differenti background. Tra le tante inquadrate, la camera si attarda a seguirne una in particolare, che risulta essere la nostra protagonista, Luciana (Ana Asensio).
Arrivata dalla Spagna per lasciarsi alle spalle una non meglio specificata tragedia familiare che – dalle mezze frasi sussurrate al telefono con la madre – scopriamo essere la probabile morte della sua giovane figlia, Luciana vive ora di espedienti nella Grande Mela. Si divide tra fare del babysitting a benestanti e capricciosi rampolli di una qualche donna in carriera che le lascia ordini da eseguire sulla segreteria del cellulare, fare pubblicità a un fast food vestita da pollo insieme a una ex-modella russa, Olga (Natasha Romanova) e fare nonostante tutto i salti mortali per pagare l’affitto della topaia dove abita.
Quando la sua “amica” Olga le propone un lavoro dove potrebbe guadagnare soldi veri – duemila dollari e rotti – semplicemente partecipando vestita con tacchi e abito nero a un cocktail party, Luciana è sufficientemente disperata da non sospettare che sia troppo bello per essere vero. O quantomeno, pur sospettandolo, da non rinunciare alla possibilità di tirare il sospiro per qualche mese, intascando l’allettante somma. Si prepara quindi per andare alla serata, correndo prima a prendere i bambini dimenticati fuori da scuola e poi persi per strada, recuperando al volo un abito nero acquistato a pochi dollari dopo averlo provato e rotto espressamente (così che la commessa, mortificata, potesse accettare di venderglielo a meno della metà del prezzo reale), mollando infine i marmocchi alla vicina e inforcando un taxi – che non potrà mai pagare – alla volta della fatidica festa che potrebbe risollevarle le finanze per i mesi successivi.
L’ambiente è fin da subito alla Fight Club, e chiunque non fosse così all’ultima spiaggia avrebbe rinunciato ben prima di arrivare: Luciana si trova nell’apparente infinito e dedalico retro di un ristorante cinese, poi le viene dato un indirizzo, riprende un taxi che la porta dell’altra parte della città, in una zona inquietante di suo e dove ormai regna la penombra, a fianco di un capannone fatiscente. Prima di entrare (e dopo aver una volta di più contato sulla “misericordia” del taxista newyorkese – aspetto piuttosto irrealistico di un racconto che fino ad allora aveva il merito di sembrare alquanto veritiero) Luciana nasconde nella pattumiera i suoi effetti personali e il suo zaino. Perché, oltre all’indirizzo, il sedicente e laconico impiegato del ristorante cinese le aveva consegnato una micro-borsetta nera sigillata impossibile da aprirsi, a dispetto dei vari, maldestri tentativi fatti dalla nostra curiosa e caotica eroina.
Entrata in quella che dovrebbe essere un’insolita location per un cocktail party esclusivo, Luciana si ritrova in una specie di enorme scantinato con muscolose bodyguard all’entrata e un gruppo di donne vestite, come lei, in abito nero e tacchi, tremanti, disposte in cerchio in mezzo alla sala. Tra di loro, Olga che, quando viene interrogata da una sempre più preoccupata Luciana per capire cosa stia succedendo, le intima il silenzio, pur dando l’impressione di essere tra le poche a sapere cosa ci sia in serbo per tutte loro. Il mistero si infittisce quando appare Vanessa (Caprice Benedetti) che sembra essere il mastro cerimoniere e che sceglie una donna alla volta per entrare nella stanza adiacente, da cui possono udirsi grida di terrore miste a risate e applausi.
Lo spettatore scoprirà insieme a Luciana cosi si celi dietro alla porta chiusa.
La crescente suspense di un racconto che dura lo spazio di una giornata
Most Beautiful Island, girato in Super 16 mm – che conferisce uno stile da documentario-verità -, parte dalle disavventure quotidiane di una giovane immigrata piuttosto impacciata e si trasforma via via che le ore della sua lunga giornata si susseguono in un thriller che pone lo spettatore in uno stato di ansia sempre maggiore. Dalla critica sociale delle condizioni inumane in cui versano coloro che approdano in quella che dovrebbe essere “l’isola felice”, la terra delle opportunità (come ancora la definisce Olga), il film diventa tutt’altro e acquisisce una dimensione surreale.
La Anensio ha dichiarato che la storia si basa sulle vere esperienze di vita che le sono capitate quando anche lei era una giovane espatriata appena arrivata a N.Y., anche se a tratti viene il dubbio abbia voluto indugiare sugli aspetti più malsani e scabrosi per inserirsi nell’ampia scia di coloro che dipingono le classi più benestanti come gli ormai soliti “ricchi e perversi” wasp.
Dietro la porta chiusa, infatti, l’atmosfera è un po’ quella alla Eyes Wide Shut di Kubrick, la stessa – vista però in quel caso in chiave ironica – di Game Night, quando si assiste al Fight Club organizzato a uso e consumo di ricconi annoiati e amorali. Meno lotta e più brivido lungo la schiena, meno sudore e più svolta sexy, con sinuosi e bianchissimi corpi di donne inermi e nude, meno ambiente testosteronico e più perversione e morbosità – ma comunque sempre una variazione sul tema “ricchi-bianchi-e-cattivi”.
Quanto ci sia di vero in quel che viene proposto non è dato da sapere. L’effetto è in ogni caso puntare il dito contro una società disumana ormai insensibile ai drammi dei meno abbienti, pronti a sacrificare dignità e la loro stessa vita per riuscire a galleggiare, a sopravvivere. L’immagine di Luciana nella vasca da bagno della stamberga in cui abita – e per cui non arriva a pagare l’affitto – è significativa in questo senso: lei è immersa nell’acqua e da un buco nel muro iniziano a uscire una serie di orridi scarafaggi. Lei non scappa non grida non si muove: resta impassibile a guardarli camminarle sopra, riversarsi in acqua, forse annegare.
C’è chi ha ricordato che storicamente gli immigrati sono stati paragonati a scarafaggi, non solo per disprezzarli ma per evidenziarne le capacità di sopravvivere – al di là di tutto e in ogni condizione. Luciana è una “survivor”, che riesce alla fine a dimostrare maggior sangue freddo della sua spregiudicata e ambiziosa amica, Olga, che per prima l’aveva ficcata in quella situazione e che era responsabile di aver coinvolto tutte le altre ragazze, dietro presumibilmente lauta percentuale. Luciana riesce a restare immobile, anche quando la sua vita è in pericolo, e salva in questo modo quella della sua compagna senza scrupoli, prendendone in automatico il posto in quella specie di vizioso circolo privato clandestino. Luciana è però nello stesso tempo la vittima, l’immigrata trattata come oggetto per il sadico piacere degli astanti, che potrebbero vederla morire e agonizzare senza battere ciglio – come lei aveva guardato gli scarafaggi nuotare o affondare nell’acqua della vasca, come si guardano vivere o naufragare disperati nel mare, nelle immagini del telegiornale.
Most Beautiful Island si conclude senza farci sapere se la protagonista si integrerà, prenderà il suo posto in quella società malata che aveva goduto nel vederla rischiare la vita, o riuscirà a prender le distanze, rinunciando al potere che le deriverebbe dall’essere lei la nuova Olga, la nuova ragazza che porta le ragazze – la carne al macero da vedere soffrire e agonizzare. O forse, come gli scarafaggi a cui, in quanto immigrata, viene paragonata, resterà rintanata in qualche buco, nascosta alla maggior parte degli abitanti della città, capace di sopravvivere, cercando come può di galleggiare.
Bilancio finale di Most Beautiful Island
Film a tratti forte, risente in qualche punto dell’essere un’opera prima, con lievi inesperienze e alcuni cambi di registro un po’ bruschi. Ambientato in un’unica giornata, ha una lunga parte preparatoria e un esito finale dell’intera preparazione leggermente forzato, al punto che si potrebbe pensare di stare guardando un film diverso tra la prima e la seconda metà. Ana Asensio è molto brava, anche come interprete, a comunicare l’ansia crescente, e lo spettatore, come lei ignaro del seguito, vivrà con lei un’angoscia sempre maggiore. Posto che non è certo ciò che sia vita vissuta, appare forse un po’ scontato e molto già visto il sottolineare l’aspetto perverso e amorale di una certa borghesia danarosa – poveri e buoni da una parte e ricchi e cattivi dall’altra, in pratica, una dicotomia un po’ troppo semplicistica. A conti fatti, comunque, un debutto alla regia sicuramente interessante e promettente per l’attrice spagnola.
All’inizio ricorda i film di almodovar poi si perde nella violenza estrema…… Onore alla protagonista che lo spettarore tifa
Non è violentissimo, in effetti, è più che altro molto sadico (almeno, dal mio punto di vista). Davvero ti ha ricordato Almodovar all’inizio? Comunque grazie, lasci sempre commenti interessanti!
Bella recensione davvero!!
Grazie mille, Angelina! Sono contenta ti sia piaciuta!
Buona giornata!