Le streghe di Salem: Il delirio visivo e simbolico di Rob Zombie

Dopo otto anni di assenza (non contando la parentesi del doppio remake di Halloween) torna l’eclettico regista Rob Zombie che si è saputo sempre distinguere per la sua verve Grindhouse sin dal suo esordio nel lontano 2003. Arriva al cinema il prossimo 24 Aprile, in anticipo rispetto l’uscita USA, Le streghe di Salem.

Trama

Heidi (Sheri Moon Zombie; La casa dei 1000 corpi, La casa del diavolo) è una Dj di un’emittente radiofonica nella cittadina di Salem. Una sera le arriva un pacco con un vinile del gruppo “I signori”. Quando la donna lo passa in radio, iniziano ad emergere dal suo subconscio una serie di voglie, sensazioni e ricordi che inizialmente non sembrano appartenerle. Mentre le tenebre sembrano prendere il sopravvento.

Un delirante ritorno

Dopo il dittico che ha segnato l’esordio cinematografico di Rob Zombie (La casa dei 1000 corpi e La casa del diavolo), ricco di splatter e gore e soprattutto di un aspetto visivo e tecnico ricco di tanto citazionismo più o meno esplicito ai film Grindhouse anni settanta, e il dittico con protagonista Michael Myers nei due Halloween più o meno convincenti ma sicuramente più commerciali e di massa, torna in sala con un film davvero suo che si esalta sin dalle prime immagini per lo stile più raffinato e ricercato, per le citazioni più curate (tra tutte quelle a Carpenter e al nostro Mario Bava [La maschera del demonio]) e per gli scenari onirici e i simbolismi elaborati che portano a pensare a due registi di culto quali il già citato John Carpenter (di cui Zombie è un grande fan) e Stanley Kubrick.

Insomma, il regista lascia i vuoti di sceneggiatura del passato che riempiva con tanto splatter e mostri vari con una simbologia ritrovata nella figura della protagonista e nell’incarnazione e fascinazione totalizzante del male in ogni sua forma ed essenza.

L’altra metà

Il personaggio principale del film, Heidi, è affidato alla moglie di Zombie, Sheri Moon, sempre presente nelle pellicole precedenti e che stavolta si lascia andare anima e corpo nelle mani del regista in questa discesa negli inferi mentali e visivi, dove l’orrore non sta nel “salto dalla poltrona” o nello splatter di una scena ma nel connubio tra una tortura psicologia lenta ma pungente e l’ossessiva presenza dell’accompagnamento musicale.

Sulle interpretazioni, oltre a quella della Moon azzeccata trentenne dj con tanto di rasta e vita notturna, quella (divertita) di Bruce Davison che si può ricordare nei due X-Men di Bryan Singer nel ruolo del senatore Robert Kelly o in America oggi di Robert Altman. Qui lo troviamo nel ruolo di uno scrittore di opere riguardanti miti e stregoneria che sarà incuriosito dal vinile inviato alla giovane protagonista e per questo inizierà un’indagine per scoprirne di più.

Per chi cerca il solito horror, per chi cerca lo splatter o il teen-movie ha di certo sbagliato film. Per chi è diffidente in questo regista (un po’ come lo ero io) qui in parte si ricrederà e per chi lo aveva già amato per le sue precedenti pellicole qui avrà la conferma. Rob Zombie crea un’opera totalmente sua e si apre la strada al futuro dell’horror statunitense.

P.S.: Se potete, guardatelo in lingua originale con i sottotitoli. In questo caso il doppiaggio italiano spesso fa perdere al film la sua vera “essenza”.

Trailer del film:

 

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