Il quinto capitolo del franchise inaugurato da Spielberg ormai 25 anni fa, Jurassic World: Il Regno Distrutto, esce in Italia il 6 giugno. Diretto da J. A. Bayona (noto come regista di The Orphanage) vede tornare nel ruolo dei due protagonisti principali Chris Pratt e Bryce Dallas Howard, già visti nel primo episodio del nuovo filone. Nel 2015, infatti, ha preso il via una nuova trilogia, la cui differenza più clamorosa con l’originale è di chiamarsi “world” invece che “park” giurassico, come il capostipite.
Jurassic World: Il Regno Distrutto
Isla Nublar, dove era stato abbandonato l’ultimo parco e dove i dinosauri erano stati lasciati liberi di regnare incontrastati, corre il rischio di essere completamente distrutta da un’imminente esplosione vulcanica. Claire (Bryce Dallas Howard), l’ex-manager operativo del parco, che nel precedente film era riuscita faticosamente a sopravvivere e a salvare i suoi nipoti, è diventata ora un’attivista che si batte per non lasciare morire sotto la lava i giganteschi rettili preistorici. Viene contattata a sorpresa dal braccio destro di Sir Lockwood (James Cromwell) allo scopo di essere reclutata insieme al suo ex-collega (ed ex-fidanzato) Owen (Chris Pratt) per una missione di soccorso dei dinosauri dell’isola, prima che l’eruzione li condanni una volta ancora all’estinzione.
Come farebbe qualsiasi persona sana di mente che soli tre anni prima ha rischiato di venire sbranata da bestioni squamati alti diversi metri (sì, c’è ironia nell’aria), Claire non se lo fa ripetere due volte e si butta a capofitto nell’avventura, accompagnata, oltre che da un recalcitrante Owen, da un esperto di informatica estremamente nerd e da una paleoveterinaria estremamente tosta. Ma niente è mai come sembra, e gli stessi che li hanno ingaggiati si rivoltano contro di loro poiché interessati non tanto a salvare i dinosauri, quanto a rivenderli in una specie di grottesca asta organizzata nel maniero di Sir Lockwood, nel frattempo sul letto di morte e ignaro del complotto alle sue spalle.
Non manca la consueta presenza infantile, nella figura della nipotina di Lockwood, che si affeziona a Owen quanto una novella Blue (il Velociraptor che il personaggio interpretato da Chris Pratt aveva addestrato nel primo Jurassic World). Completano il quadro, in ordine sparso, eruzioni vulcaniche, un annegamento plurimo sventato all’ultimo secondo, operazioni con mezzi di fortuna, scontri armati, mercato nero, un pizzico di esperimenti scientifici malati e, ovviamente, una variegata orda di t-rex, triceratopi, pterodattili, e chi più ne ha più ne metta.
Repetita non sempre iuvant – quando le ripetizioni diventano troppe
A ben guardare, la struttura dei vari Jurassic, a partire dal primo, è sempre più o meno la stessa: una buona parte del film a tentare di dare una credibilità pseudo-scientifica al tutto, poi il consueto “passo-più-lungo-della-gamba” umano (leggi, qualcuno che si fa prendere dall’eccesso di ambizione e/o di cupidigia e commette un errore clamoroso), e di seguito lo scatenarsi delle forze della natura – nelle sembianze della furia animale dei “cari estinti”. Poiché, come diceva nell’ormai mitica frase il dott. Ian Malcolm (Jeff Goldblum) “life –uh – finds a way” – la vita trova (sempre) una strada, la vita vince sempre. Anche se spesso in modo brutale.
Jurassic World: Il Regno Distrutto non fa eccezione. Certo, forte dell’essere ormai il quinto esponente della categoria, ci risparmia un eccesso di sottolineature degli aspetti pseudo-scientifici: basta rivedere il solito Dottor Henry Wu (B. D. Wung), lo scienziato del primo film della serie originale e del reboot del 2015, per capire che ci troviamo di fronte allo stesso genere di cose (clonazioni, invenzioni di nuove specie, aberrazioni varie ed eventuali).
Questa volta l’attenzione sembra essere maggiormente puntata ad esaltare i momenti simil-spy-story, con tanto di pallottole estratte in situazioni di emergenza, riunioni segrete dove si compra a suon di milioni di dollari e si aggiudica al miglior offerente l’esemplare di rettile preistorico favorito, ambienti da contrabbando di armi. Insomma, se ai dinosauri in gabbia geneticamente modificati sostituissimo giovani donne o bambini, saremmo in un episodio di Criminal Minds – o una delle tante serie televisive con profiler dell’FBI intenti a stanare bande di trafficanti dei “moderni schiavi”, spesso venduti con aste on line.
Anche l’azione si sposta, e dallo scenario dell’isola – anch’esso ormai visto più e più volte, in tutte le salse –si trasferisce alla casa-castello di Sir Lockwood. Che in partenza pare un museo, con tanto di governante (Geraldine Chaplin) un po’ inquietante che segue passo passo la bambina, la bambina che gioca allegramente saltellando tra le statue di dinosauri, e vecchio nonno malato confinato a letto. Poi si rivela essere molto di più, e molto peggio. Come nelle migliori tradizioni di thriller con cospirazioni.
Nonostante le differenze, Jurassic World: Il Regno Distrutto risente di una certa stanchezza: quando arriva il momento classico del “liberi tutti”, si aprono le gabbie e i dinosauri partono alla ricerca del malcapitato da sbranare, quasi non ci credono più neanche loro. Quelli che dovrebbero essere i momenti clou si risolvono in una – superflua e cruenta – mutilazione (del mercenario cattivo, così impara, e comunque subito dopo muore), in due o tre momenti di pathos per la “caccia all’uomo”, e in una rivisitazione di King Kong versione antico maniero, con dinosauro geneticamente modificato che si arrampica sui tetti, francamente davvero poco credibile.
Anche il cliché ormai abusato della creazione-incrocio-straordinariamente-intelligente non stupisce più nessuno, e la scena, vista già nei trailer, della bimba sotto le coperte e del (perfido) dinosauro che si avvicina allungando la zampa, quasi dovesse toglierle, le coperte, rasenta il ridicolo.
I punti di forza di Jurassic World: Il Regno Distrutto
La vera eroina del film, unica e sola, è Blue, la velociraptor addestrata da Owen, che una volta di più salva situazione, “padre adottivo”, e pure capre e cavoli. Simile a lei – anche per una possibile sotto-trama giusto abbozzata, che forse sarà meglio esplorata nel seguito già previsto del film – la nipote di Lockwood, che si affeziona immediatamente al personaggio di Chris Pratt, adottandolo virtualmente dal primo istante.
Pratt, dal canto suo, ha quel sorriso sardonico che ce lo rende simpatico, e qualche battuta divertente, che fa pensare al suo ruolo nei Guardiani della Galassia – pur senza quel rilievo dato all’humour tipicamente “alla Marvel”. E Bryce Dallas Howard è un raggio di luce che illumina – soprattutto quando smetti di farti venire in mente che è la figlia di Ricky Cunningam nonché regista di Solo: A Star War Story.
I due nuovi personaggi introdotti, la veterinaria dura e il nerd che grida tirando acuti da soprano, sono macchiette di contorno, ma funzionali, e il cameo di Goldblum fa sempre piacere, pur se lontano anni luce dalla brillantezza dell’originale. La Chaplin, invece, risulta completamente sprecata per un ruolo che poteva interpretare qualsiasi sconosciuta.
Bilancio finale
Il problema di questi franchise è che stemperano, di volta in volta, così tanto la qualità iniziale del primo film (posto ci fosse) che ciò che resta della bellezza della storia è ben poco, se non la sensazione che si voglia spremere lo spremibile, contando sulla tendenza alla fidelizzazione degli spettatori. Jurassic World: Il Regno Distrutto è migliore del precedente, del 2015, perché quantomeno il contesto è un po’ mutato: non più l’isola, non più e non solo il malfunzionamento, ma tutto l’intrigo simil-contrabbando a latere.
La sensazione è, però, che il film si regga più che altro sulla simpatia degli interpreti principali, e si appoggi su una trama che funzionerebbe altrettanto o forse più se non ci fossero i dinosauri di mezzo. L’impressione che danno loro, i dinosauri, è che siano costretti ad esserci così, per contratto, perché l’ospitata era già stata pagata, ma non vedano l’ora di andarsene pure loro.
Al punto che la scena strappalacrime in cui si vede il brachiosauro che si allunga, sommerso dalla nube dell’eruzione vulcanica, prima di scomparire, fa nascere prorompente dentro di sé la speranza che quello sia – davvero e finalmente – l’ultimo addio. Che ci si sia lasciati alle spalle, una volta per tutte, isola e dinosauri, e non se ne parli più. Poi, come una doccia fredda, arriva la consapevolezza che si è solo a metà film e che il sequel è già programmato per il giugno del 2021. E scatta impellente la voglia di scappare insieme ai dinosauri superstiti. O in alternativa di estinguersi, se proprio non si può fare altro.
Ottimo davvero