La pecora nera: il dramma rappresentato col sorriso

Lo scorso 5 ottobre ho potuto assistere a Bari alla proiezione di La pecora nera, opera prima di Ascanio Celestini. In sala, per l’occasione era presente anche il regista che ha chiacchierato con il pubblico a fine proiezione. Nell’attesa di mostrare i video dei suoi interventi, ecco la mia recensione.

La pecora nera è stata una sorpresa all’ultima Mostra del Cinema di Venezia. Elogiato da molti, aveva acceso in me una forte curiosità dovuta anche alla delicatezza dell’argomento. La malattia mentale e il manicomio sono stati più volte tema di film: nella maggioranza dei casi, però, sono sempre state evidenziate le modalità di costrizione e tortura cui i matti erano sottoposti. Ultimo tra questi il toccante C’era una volta la città dei matti, diretto da Marco Turco, che racconta la storia di Franco Basaglia, fautore della famosa legge che portò alla chiusura dei manicomi.

La locandina del film

La locandina del film

Il film di Ascanio Celestini si discosta però da questa modalità per raccontare, pur col sorriso, il dramma di queste persone cui l’istituzione ha deciso di togliere la libertà, per motivi non del tutto validi. La pecora nera è la storia di Nicola (Ascanio Celestini), giovane nato nei favolosi anni sessanta, che a causa di una mamma internata, di una nonna (Barbara Valmorin) che porta le uova ai matti e di una famiglia (composta dal padre e da due fratelli) che non lo ha mai considerato, si ritrova a vivere 35 anni in manicomio. Le sue giornate sono sempre uguali, unico momento di svago è la spesa, che va a fare con la suora (Luisa De Santis) e con il suo inseparabile amico (Giorgio Tirabassi). Finchè l’incontro con Marinella (Maya Sansa), il suo amore d’infanzia, che offre il caffè nel supermercato, non sconvolgerà la situazione.

Nella sua intervista Celestini ha spiegato che il film, come il libro e l’opera teatrale da lui scritta e diretta, nasce da una sua indagine negli ospedali psichiatrici, grazie alla quale è andato ad ascoltare, ma senza far domande, le storie dei matti. Volutamente non ha inserito scene di violenza o di costrizione, lasciando spazio alla condizione inumana di questi uomini, costretti a stare lontani dall’istituzione che li considera diversi, pecore nere da emarginare.

Ne è nato un film delicato e molto espressivo, nel quale ci si commuove ridendo, perchè questi uomini, che siano guardie o carcerati, vivono una situazione talmente anomala da non rendersi neanche conto che quello che attuano o subiscono è violenza. In un momento del film un giovanissimo Nicola spiega ai suoi compagni che quello non è un manicomio ma un condominio di santi e il più santo di tutti è il dottore: è in queste parole, a mio avviso, il fulcro centrale del film che ribalta la situazione facendoci guardare il mondo con gli occhi dei matti.

Ascanio Celestini e Giorgio Tirabassi

Ascanio Celestini e Giorgio Tirabassi

Straordinarie le interpretazioni di Ascanio Celestini e Giorgio Tirabassi, amici inseparabili che scandiscono la loro giornata con le mansioni a loro affidate, ma che sognano giornalini proibiti con immagini e senza parole (tanto nessuno le leggerebbe e così si risparmia sull’inchiostro) e donne da leccare. Molto bravo anche il giovanissimo Luigi Fedele, che interpreta Nicola da piccolo, capace di esprimere con il solo sguardo, intenso ed espressivo, il suo disagio nel sentirsi diverso dagli altri, quelli che la società considera normali.

Il giovane Luigi Fedele

Il giovane Luigi Fedele

Come sottofondo un ritornello e una barzelletta, che si ripetono sempre, accompagnano la voce fuori campo di Nicola, grazie al quale riusciamo a capire i pensieri e le emozioni di quest’uomo che matto non è ma che lo diventa vivendo quella condizione.

Ascanio Celestini e Maya Sansa

Ascanio Celestini e Maya Sansa

Continua a leggere l’intervista esclusiva al regista per cinemio ed i video della presentazione del film a Bari.

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