Beautiful Things: la vita segreta delle cose

Diretto da Giorgio Ferrero e Federico Biasin che hanno curato rispettivamente sceneggiatura, colonna sonora e produzione e presentato con esito positivo alla Biennale di Venezia ma anche ai principali festival cinematografici e documentaristici italiani e stranieri, Beautiful things è un documentario sicuramente originale.

Beautiful Things
Beautiful Things

Beautiful Things

Il titolo che rimanda a una pellicola del 2007 può far immaginare ben altro , invece l’opera è un lavoro di denuncia che mostra allo spettatore la lunga catena che porta alla produzione delle merci ma seguendo un percorso originale e traslato partendo da una normale abitazione che contiene numerosi oggetti, giocattoli in particolare, ascrivibili al decennio che va tra la metà degli anni Settanta e la metà degli anni Ottanta del secolo scorso, epoca che vide il trionfo della plastica , esaltata fino a pochi anni fa, deprecata e demonizzata in epoca contemporanea tanto da far rilasciare tra gli altri una dichiarazione in merito persino al presidente francese Emmanuel Macron.

Recentemente del resto il pianeta intero si è mobilitato nel Friday for future partecipando all’appello della giovanissima Greta Thunberg. Spreco e riscaldamento globale sono ormai oggetto di campagna politica perché è fondamentale far del bene alla Terra per vivere bene.

Beautiful Things, documentario di Ferrero e Biasin non polemizza né attacca ma semplicemente fa un viaggio diviso in quattro capitoli su ambienti inaccessibili che tuttavia sono testimoni della catena delle merci al centro della vita quotidiana di ognuno.

Il primo episodio: Petrolio parla di Van che vive nel Texas, luogo deserto e impervio. La sua vita solitaria è scandita dalle gigantesche pompe di un impianto petrolifero, base per molti oggetti di uso comune. Van parla della sua vita, certo non facile e la camera si sofferma sulla sua immagine, soprattutto nei piani lunghi, unica sagoma umana in un luogo vuoto, quasi un non luogo. Il secondo episodio Crgo, ruota intorno a Danilo, un ingegnere meccanico. Danilo vive praticamente come un monaco di clausura in una enorme nave che trasporta merci nelle traversate transoceaniche. La sua vita è noiosa anche se talvolta degli episodi di colore hanno aiutato a rendere le giornate meno uguali alle altre.

Il terzo episodio ha come protagonista Andrea uno scienziato di Bologna che testa le proprietà acustiche degli oggetti in una stanza speciale, la camera anecoide. Infine Vito, protagonista dell’ultimo capitolo, Cenere. Vito in Svizzera era un rifornitore di slot machines, vacui totem, divinità che immolano l’umanità al culto del denaro in cambio di una vana promessa di felicità. In epoca recente l’uomo è responsabile di un termovalorizzatore.

Si conclude così il viaggio in una incastonatura perfetto dalle origini fino alla distruzione e alla nuova vita che dovrebbe risorgere dalla cenere come il mito dell’araba fenice. Ciò che affascina del documentario, a prescindere dalla tematica, l’uso sapiente della fotografia che valorizza ogni singolo capitolo con un virtuosismo geometrico fatto di inquadrature e colori, ma anche l’uso del sonoro che va da una campionatura di suoni relativi ai pozzi petroliferi, all’uso del violoncello o dei cori.

Completa l’opera in chiusura la danza di due figure, una coppia, spesso intravista a stacco tra i vari capitoli che danza all’interno di un centro commerciale deserto, quasi a simbolo di una liberazione dal culto del consumismo che vede come suo tempio abbandonato il centro commerciale privo del suo ruolo e quindi appariscente e inutile come una cattedrale nel deserto.

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