Ispirata alla serie a fumetti best seller in America, The Walking Dead esordirà il 14 ottobre sugli schermi d’oltreoceano con la quarta stagione.
The Walking Dead: la storia di questa serie
Il comic omonimo, ideato e scritto da Robert Kirkman (e disegnato da Charlie Adlard, dal numero 6 in poi), esordiva cento mesi fa, più o meno, riportando agli onori della cronaca un genere, quello del survival-zombie, fin troppo (ab)usato dal cinema e da uno dei suoi padri fondatori, quel George Romero che lo aveva reso un marchio riconoscibile ma consunto fino all’osso: sembra allora che ci volesse proprio questo fumettaro semi sconosciuto, con all’attivo qualche storia per la Image Comics ma niente di particolarmente eclatante, per dare nuove propulsioni ai morti viventi.
Ma attenzione: l’esplosione non è avvenuta tanto con il fumetto, bensì con la serie tv di sopra, iniziata nel 2010 quasi per scommessa sulla AMC. Attesa al varco dai fan dell’opera originale e dai critici talebani pronti a sparare a zero sull’ennesima variazione sul tema del morto vivente, The Walking Dead ha assunto l’andatura del turbo: una prima stagione di soli sei episodi, diretti da un artigiano della macchina da presa come il buon Frank Darabont (discontinuo autore di alcuni adattamenti da Stephen King, dai lacrimevoli Le Ali della Libertà e Il Miglio Verde fino al magnifico The Mist), si è fatta strada pian piano nel cuore degli appassionati, dei fan duri e puri e dello spettatore occasionale, fino a diventare vero e proprio oggetto di culto.
Perché questa serie ha successo?
Il motivo? Prima di tutto, una trama mai banale. Certo, presa dal fumetto, il mondo è devastato da un’epidemia che trasforma i morti in affamati morti viventi: un manipolo di sopravvissuti cerca scampo e rifugio, ma che ha saputo ben presto svincolarsi dal legame con la carta stampata per prendere vita autonoma, grazie ancora all’onnipresente Kirkman, che da allora ha trattato le sue due creature, il serial a fumetti e quello per la tv, come due gemelli eterozigoti, lasciandoli crescere simili ma diversi.
In questo modo, i personaggi hanno preso strade differenti e imboccato sentieri diversi, paralleli, convergenti ma mai sovrapposti: e sono diventati persone. Grazie alla mano sicura di Frank Darabont e a recitazioni efficaci, The Walking Dead ha dato la stura, con la prima stagione, ad un mondo nuovo, contaminato da horror, thriller, dramma psicologico e persino sentimentale, mettendo al centro della scena i vivi che scoprono di esserlo solo grazie ai morti.
Il vero successo arriva con la seconda stagione
Con la seconda stagione, il successo è arrivato e ha travolto tutto e tutti: da allora, The Walking Dead è diventato uno dei brand di maggior successo delle reti in chiaro americane, spargendosi come una macchia d’olio nel campo dell’intrattenimento tout court, mentre i 5.000 scarsi telespettatori dei primi sei episodi arrivavano, alla fine dei dodici della seconda annata, a quasi 9.000.
E intanto la storia andava avanti: meno sorprendente del fumetto, che ad ogni episodio sa lasciarti a bocca aperta per l’assoluta imprevedibilità degli avvenimenti, ma ugualmente avvincente e ben dosata nei suoi ingredienti, iniziando come un’ouverture con dramma e tensione, spegnendosi lentamente poco prima della fine per esplodere con magniloquenza nel season finale, uno dei più intensi dei serial degli ultimi anni.
E la terza stagione?
Proprio per questo, le aspettative sulla terza stagione erano altissime: in molti chiedevano una maggiore presenza del filone horror, considerando che nella seconda stagione (che aveva visto il passaggio del testimone da Darabont a Greg Nicotero, con una regia più nerboruta e d’effetto) i drammi personali sembravano aver preso il sopravvento sugli zombi. Per di più, The Walking Dead era (è) diventato un vero e proprio filone di successo, e come tale doveva necessariamente tenere un profilo altissimo.
È stato forse per questa eccessiva ansia che gli episodi delle terza annata del serial sono stati discontinui. Come se la direzione fosse incerta e i registi navigassero a vista: una partenza al fulmicotone, e dopo la pausa un finale sottotono.
I personaggi sono la forza della serie
Certo, la forza del serial erano e rimangono i personaggi, che con l’aggiunta del Governatore interpretato da un ambiguo David Morissey hanno raggiunto un equilibrio perfetto: se il protagonista Rick Grimes (con le fattezze di un insipido Andrew Lincoln, espressivo come un termosifone rotto) porta le redini di tutto solo a livello narrativo, le emozioni sono assicurate dalla triangolazione dei personaggi “secondari”, da un Andrea interpretata splendidamente da Laurie Holden fino alla misteriosa e affascinante quanto mortale Michonne (Danai Gurira).
Tu stai seguendo questa serie? Ti piace The Walking Dead? Parliamone nei commenti qui sotto.