Bret Easton Ellis è uno dei più grandi romanzieri contemporanei, anche se chi lo conosce si conta sulle dita della mano di un monco.
Ma da dove viene Dexter?
È suo Lunar Park, forse il libro più straziante e vero sui rapporti umani negli anni ’90; e anche American Psycho, oggetto anche di una transizione cinematografica più che trascurabile, nonché summa dell’alta società newyorkese e contemporaneamente dell’esplosione-implosione emotiva dei vizi negli anni ’80.
E’ proprio il personaggio principale di American Psycho ad ispirare il romanzo Darkly Dreaming Dexter, modello della serie di culto Dexter, ora in onda su FOX con la sua ottava ed ultima stagione.
Anche qui, come nel romanzo di Ellis, è alla ribalta la schizofrenia tutta moderna della figura dell’antieroe: il protagonista, interpretato dal bravo Michael C. Hall (già visto nel superbo Six Feet Under) è un poliziotto della scientifica che nasconde un piccolo vizietto: è un serial killer. Tutta la storia si concentra allora su questa figura al limite fra l’assurdo e il brutalmente reale, giocata sui contrasti e su toni sopra le righe, ma crudelmente realistica quando delinea i personaggi e i loro vizi e virtù.
Alti e bassi non mancano…
Tecnicamente, il serial è un gradevolissimo pout-pourrì di varie cose (CSI, Se7en, Nip/Tuck), ma irresistibile: soprattutto per l’uso spregiudicato della violenza e di un gran-guignol mica da poco, stemperati dallo humor atipico di James Manos Jr., già autore dei leggendari Soprano e del piccolo capolavoro The Shield.
Ma anche con Dexter, come nella maggior parte dei serial a lung(hissim)a gittata, la qualità è stata altalenante con il proseguire della storia: la prima stagione è stata esplosiva, sviluppandosi intorno al tema portante dei crimini del Killer del Camion Frigo, affiancato al delinearsi dei protagonisti principali.
Ma al di là del fascino narrativo del whodunit, Dexter si è dimostrato vincente per la descrizione impietosa delle interazioni dei personaggi (che si sviluppano in un’atmosfera posticcia e irreale), delineati per un target adulto e disinibito.
La seconda e la terza stagione hanno però risentito dell’impatto devastante della prima: infatti, le trame portate avanti sembravano indecise se approfondire l’aspetto psicoanalitico del personaggio principale oppure seguire l’esempio dei primi episodi, in cui Dexter affrontava e si confrontava con un altro serial killer.
L’incertezza narrativa è proseguita fino alla quarta stagione, forse la peggiore dell’intera serie, con dodici episodi affondati fra la noia e svolte deja-vu.
Da serial-killer a padre affettuoso…
Alla fine, gli autori hanno preferito (per fortuna) concentrarsi sull’evoluzione psicologica del protagonista: da personaggio totalmente anaffettivo qual era Dexter nella prima stagione, a serial killer con l’anima che si apre lentamente al mondo -tra la terza e la quinta stagione, Dexter sposa infine la fidanzata “storica” di copertura e inizia a provare vero affetto per il figlio appena nato-, fino ad un umanizzazione completa e inevitabilmente dolorosa, subito dopo una metaforica “rinascita” attraverso la morte della neo moglie per mano dell’assassino Trinity e il ritrovamento del bimbo nel sangue della madre, proprio come accadde a Dexter da piccolo, prima di essere trovato dal padre adottivo.
Sesta, settima e ottava stagione sono infatti un unico affresco narrativo, senza soluzione di continuità, in cui le dinamiche familiari fra Dex, la sorella Debra e il figlio Harrison e quelle con i numerosissimi comprimari, tutti perfettamente centrati, esplodono ed implodono, mentre il nostro (anti)eroe si trova faccia a faccia con sé stesso, in un impietoso confronto a cui lo costringe la stessa sorella Deb, che come noi viene a sua volta a patti con i propri istinti più oscuri..
Ancora non sappiamo come andranno a finire le avventure di questo ematologo dagli strani vizi: di certo, DEXTER ci ha insegnato a guardare fino in fondo a noi stessi: per scoprire i coni d’ombra, venirne a patti e (forse) riuscire a vivere meglio.