#RomaFF12 – Presentato oggi in Selezione Ufficiale alla 12esima Festa del Cinema di Roma, Mademoiselle Paradis della regista viennese Barbara Albert ci porta in questo racconto tratto da una storia vera, ambientato in un diciottesimo secolo illuminato eppure cupo, per mettere in scena la sua parabola.
Mademoiselle Paradis
Il film si apre su delle note musicali e poi sul volto di Maria Theresia “Resi” Paradis (una bravissima Maria Dragus), diciottenne cieca sin da bambina ma con la dote di saper suonare divinamente il piano. In un’epoca, però, di grandi scoperte scientifiche e sperimentali, i genitori trovano un medico che forse può curarla. Ed ecco che avviene il miracolo. Con il faticoso riacquisto della vista, però, Resi dovrà accettare anche la perdita della capacità musicale.
È chiara sin dal prologo la capacità della regista di filtrare il bigottismo e un periodo nero come il 1700 attraverso la reale vicenda della giovane Maria, di scendere senza perdere in ritmo ed efficacia dal generale al particolare.
E la capacità viene dimostrata su più fronti: quello innanzitutto di non scadere in facili pietismi (se non in alcuni momenti ‘forti’ necessari all’arco narrativo del personaggio), di restare dentro ad un racconto oggettivo, un racconto che si forma sui fiati e i primi piani di Resi e che, attraverso questi, ci portano ad entrare in empatia con lei, immersi in un barocchismo dell’epoca che rappresenta in pieno la lussuria d’apparenza e l’aridità d’animo che la società imponeva a tutti coloro volessero rientrare in una classe sociale quantomeno accettabile.
La Albert è poi brava anche nello scegliere il suo cast visivamente imperfetto dove non c’è bellezza assoluta forse perché alla fine la necessità del vedere non implica un risultato che comporti anche la verità. E laddove così fosse, forse questa verità è sinonimo di infelicità. E allora è meglio rifugiarsi nei sogni, nella musica, in quello che ci fa davvero stare bene perché Resi possa a sua volta servirsi di quella società che strumentalizza il freak e trarne comunque un vantaggio sociale, politico e quindi, in un certo senso, riuscire a raggiungere un benessere interiore.