Hannah Arendt o la banalità del male

Nelle sale italiane solo per due giorni nella settimana dedicata al ricordo della shoah , “Hannah Arendt”, presentato in anteprima al  Bifest 2013, è un film che costringe a pensare. Leggete qui la nostra recensione.

Chi è Hannah Arendt

Filosofa e pensatrice tra le più influenti del XX secolo , Hannah Arendt di nazionalità tedesca e di origini israelite, emigrò negli Stati Uniti a seguito della persecuzione nazista sul popolo ebraico. Tra gli scritti maggiori della Arendt “Le origini del totalitarismo” e “La banalità del male” tratto dal suo resoconto giornalistico sul processo ad Adolf Eichmann.

Hannah Arendt: dal pensiero al film

Il film diretto da Margarethe Von Trotta non è una vera biografia sulla filosofa Hannah Arendt perché ricostruisce solo un breve ma fondamentale periodo nella vita della donna e cioè l’arco di tempo che va dal 1960 al 1964. La filosofa tedesca a quel tempo viveva a New York con il marito, il poeta Heinrich Blücher, insegnava all’università e conduceva una routine tranquilla ma soddisfacente. Quando però il nazista Adolf Eichmann, tra i più eminenti gerarchi dell’entourage di Hitler, viene rapito da Buenos Aires dove viveva sotto falso nome per essere processato a Gerusalemme, la Arendt si fa accreditare come giornalista per il New Yorker al fine di seguire da vicino il processo. Osservando Eichmann però la donna si accorge che il criminale nazista è solo un burocrate che ha meramente eseguito degli ordini odiosi. Il suo concetto di banalità del male creerà però alla filosofa non pochi contrasti con amici e simpatizzanti. La Von Trotta si concentra quindi sul pensiero della  Arendt realizzando intorno una trama adatta a una pellicola cinematografica.Impresa ardua ma perfettamente riuscita grazie alla professionalità della regista e della protagonista principale, l’attrice feticcio di Margarethe Von Trotta sin dai tempi di “Anni di piombo”: Barbara Sukowa.

Una ottima ricostruzione storica

Trattandosi di un film ambientato nei primi anni Sessanta, Hannah Arendt si avvale di un’accurata ricostruzione del periodo privilegiando le scene in interno a quelle in esterno evidenziando gli ambienti sobri ma composti delle case borghesi della New York dell’epoca e la moda femminile del momento che aveva come capo simbolo il twin set a delicati colori pastello. Ovviamente non mancano immagini d’epoca tratte da telegiornali del periodo che mostrano il vero Eichmann e il processo che lo vide imputato. La regista si concentra  sulla figura della filosofa che malgrado la vicinanza empatica del marito di natura sicuramente meno carismatica rispetto alla consorte è tuttavia una donna sola, spesso verbosa e non priva di una sua arroganza propria dell’intellettuale che sfoga le sue debolezze interiori fumando pressocchè incessantemente malgrado i problemi di salute del coniuge.

Un film imperfetto

Margarethe Von Trotta non è nuova al genere biografico . Al suo attivo la pellicola Rosa L. ( 1985) sulla pensatrice Rosa Luxembourg quasi contemporanea della Arendt e curiosamente a interpretarla fu la stessa Barbara Sukowa. Con Hannah Arendt la regista tedesca non ottiene un totale successo realizzativo però: da una parte le interpretazioni asciutte e senza fronzoli nonchè la buona ricostruzione storica attira lo spettatore avido di pellicole a stampo didattico, ma dall’altro canto è proprio il didattismo che talvolta traspare dal film e i dialoghi spesso lunghi a generare qualche momento di tedio che quindi non possono far gridare al capolavoro.Tuttavia la pellicola è una testimonianza sincera del pensiero della filosofa Arendt e contestualmente un ottimo spunto per una discussione sul nazismo a posteriori.

Continua a leggere la lezione di cinema di Margarethe Von Trotta dedicata al film.

 

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