Rassegna horror “PericolosaMENTE”: fin dove può arrivare la follia umana? – parte seconda

Dopo la follia omicida di The Shining di Stanley Kubrick, ieri (mercoledì 24 marzo) è stata la volta della malinconia di La Chute de la Maison Usher (La Caduta della Casa Usher, 1928) di Jean Epstein, proiettato all’Area Metropolis 2.0 di Milano, con accompagnamento dal vivo al pianoforte di Francesca Badalini.

“Quell’immensa spirale di scalini dava le vertigini. Tutte le pareti erano ricoperte di specchi. Scendevo circondato da tanti me stesso, […] dalle immagini dei miei gesti, da proiezioni cinematografiche.

Ognuna di quelle immagini viveva un solo istante, appena il tempo di vederla e si era persa di vista, già diversa.

[…] Altre immagini, per le angolazioni contrarie, si ritagliavano e si amputavano; sminuite, parziali, mi umiliavano. Perchè è l’effetto morale di un tale spettacolo a essere straordinario. Ogni prospettiva è una sorpresa sconcertante che offende.”

La Chute de la Maison Usher : la trama

La storia rimane tutto sommato fedele a quella omonima, da cui è tratta, di Edgar Allan Poe, anche se vi si scorgono alcuni riferimenti ad altri racconti dello stesso scrittore, come Il Ritratto Ovale, Ligeia o Berenice.

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Una notte d’inverno, un anonimo visitatore (Charles Lamy) giunge alla triste Casa degli Usher, chiamato in aiuto dal proprietario ed amico Roderick (Jean Debucourt).

Questi, che soffre di un’ipersensibilità morbosa, è infatti in pensiero per la salute della moglie Madeline (Marguerite Gance), affetta da un male nevrotico e devastante.

La vitalità della donna viene oltremodo risucchiata dal pennello del marito, che ne dipinge energicamente il ritratto. E così, una sera, ella cade esanime.

Lord Usher, rifiutandone la morte, decide di conservare il cadavere in una lugubre cripta della Casa; insieme all’amico ospite, consegnano dunque il corpo di Madeline a quelle tenebre.

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In un’insonne notte di tempesta, si sentono inquietanti rumori provenire dai sotterranei del castello: Roderick è lacerato dal pensiero di aver sepolto viva l’amata, e sa che ora lei è tornata.

Intanto il vento imperversa e il fuoco delle candele provoca un incendio: Roderick e Madeline fuggono, mentre alle loro spalle crolla la Casa degli Usher.

Mai moriremo, e pure mai vivremo

La figura di E. A. Poe, come sottolinea T. S. Eliot ne “Edgard Allan Poe and France”, è stata creata in gran parte dalla cultura francese: non bisogna dimenticare, infatti, che l’America puritana si è per lungo tempo distanziata dall’opera dello scrittore, la cui fama si deve invece ai poeti francesi suoi ammiratori, primo fra tutti Charles Baudelaire.

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E’ per questo motivo che Epstein riesce a rendere così sorprendentemente la componente vitalista di Poe, enfatizzando la coincidenza tra la vita e la morte attraverso il personaggio di lady Madeline.

Il suo deperimento mette in moto un flusso energetico che pervade il mondo che la circonda: l’abito nuziale con cui viene sepolta (che associa la sepoltura ad un matrimonio), ma soprattutto le immagini, alternate a quelle della chiusura della bara, dell’accoppiamento di due rospi, configurano la sua morte come una potenziale rinascita.

Ma Madeline è come se fosse già sepolta viva nella Casa fin dal principio, fin da quando cioè il marito ne imprigiona la vita nel dipinto. In quel ritratto ella al contempo vive e si spegne, poichè in esso non compare mai il volto della donna.

Il quadro diviene allora uno specchio in cui Roderick si riflette, in cui i due innamorati sono l’uno il prolungamento dell’altra, e per questo Epstein li ha resi addirittura sposi (nel racconto di Poe sono fratelli gemelli).

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L’energia vitale sprigionata dalla malattia di lady Madeline raggiunge il suo culmine nella scena finale: il crollo della Casa Usher evolve nell’immagine del grande “albero della vita”, che illumina il legame inscindibile tra la morte e la vita.

Gli oggetti animati dalla sensitività di Lord Usher

Il progressivo deterioramento di Madeline rimanda poi in particolar modo all’ipersensibilità di Roderick Usher: egli sente pulsare di vita qualunque cosa gli stia attorno (si sviluppa in tal modo l’animismo cinematografico tanto caro a Epstein, secondo cui ogni oggetto è personaggio), ed è spinto da intense energie percettive.

Quando dipinge, Roderick viene trasportato in uno stato di trance che gli permette di penetrare nel ritratto stesso, di immedesimarsi con la vita di Madeline che sta tentando di intrappolare.

In questo modo egli passa ad una nuova dimensione conoscitiva, diventando il veicolo  per le corrispondenze tra gli oggetti e gli esseri viventi (“usher” significa appunto “usciere”).

Come la vita continua nella non-vita?

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“Non saprei neanche dire quanto amo i primi piani. Netti.

Improvvisamente lo schermo mostra un volto e il dramma, faccia a faccia, mi dà confidenza e si gonfia di impreviste intensità.

Ipnosi. Ora la tragedia è anatomica.”

E appunto di primi piani il film è colmo. Con essi, infatti, i dettagli vengono isolati dal loro contesto e possono così acquisire quella vitalità che, come si è visto, è tema centrale della storia.

Il primo piano è dunque considerato da Epstein “la chiave di volta del cinema” in quanto oltrepassa il mondo fisico così come comunemente lo vediamo, e ne mostra aspetti nuovi, volti diversi.

E’ proprio come quel gioco di specchi descritto all’inizio [di questo post], dove morte e vita si fondono in una dimensione in cui ogni attimo è diverso, inedito, sorprendente.

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Altra tecnica utilizzata dal regista (con il sostegno dell’aiuto-regista, l’esordiente surrealista Luis Buñuel) è quella del ralenti: rallentare le immagini, infatti, aiuta ad esprimere efficacemente lo sviluppo di quelle energie che coinvolgono la Casa.

Lo spettatore è come ipnotizzato dalla sequenza che riproduce un movimento, entra in quel flusso energetico mosso dalle nevrosi dei personaggi e accede all’oscura malinconia della famiglia Usher.

“Non conosco nulla che sia davvero più emozionante dell’immagine rallentata di un volto che si abbandona ad un’espressione.

[…] fa apparire chiaramente la relatività del tempo. E’ dunque vero che i secondi durano ore! Il dramma è situato al di fuori del tempo comune. Si ottiene una nuova prospettiva, puramente psicologica.”

Ecco una scena del film, terribilmente suggestiva


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