Iniziamo a parlare del BIF&ST 2015 con un ospite d’eccezione: Luca Zingaretti che ha aperto gli appuntamenti giornalieri dei focus dedicati agli attori emergenti. Durante l’incontro l’attore si è raccontato al pubblico.
Il calcio
Non è la prima volta che si parla di artisti con un passato sportivo e anche Luca Zingaretti ha un passato da calciatore. Da giovane infatti era innamorato del calcio: in che ruolo, in che anni, come mai, perché ha smesso?
Luca Zingaretti: Innanzitutto, come potete immaginare, con questo fisico potevo fare solo il mediano (ride). In realtà il calcio è stato il mio primo vero amore, e lo è tuttora, nel senso che ho ancora una squadretta che si chiama ‘fuori dal set’ con cui vado a giocare in giro ogni tanto per beneficenza. Devo dire che è stata una cosa che mi ha molto aiutato nei primi anni della mia vita.
Vivevo nella borgata della Magliana (quella che si vede nel famoso film della banda della Magliana), vicino al quartiere dell’Eur dove dovevano nascere campi da tennis, piscine, o almeno così dicevano i miei genitori che si erano comprati la casa con un mutuo. E invece nell’arco di pochi anni sorse questa borgata con la quale dovevamo fare i conti.
Quindi i miei pensarono bene di mandarmi al San Paolo dove c’era un piccolo oratorio dove si giocava a pallone. Io rimasi fulminato. Ero innamorato pazzo del calcio. Ricorderete il film La febbre del sabato sera: per me la febbre del sabato sera non è mai esistita, il sabato si andava a dormire alle 9,30 dopo una telefonata con i compagni in cui si diceva come ingrassare le scarpine (‘mamma ha portato una sugna fantastica, domani te la presto‘).
Devo dire che mi ha insegnato tanto perché il calcio, ma credo un po’ tutti gli sport, soprattutto quelli di squadra, ti insegnano a metterti al servizio della squadra. E poi vedo delle analogie molto forti con il mestiere che faccio adesso. C’è un regista, l’allenatore, vari ruoli che vengono ricoperti da più persone, a seconda di quella che è l’indole della persona.
Troverai il bomber che vuole segnare a tutti i costi, con un egoismo atroce, non dando la palla, così come troverai l’attore più fetente che se ne frega di come va il film o lo spettacolo teatrale, l’importante è che lui venga fuori. E poi c’è il gioco di squadra, lo spogliatoio, che se funziona poi vedi i risultati sul campo così come sullo schermo si vede se un film è stato fatto con amore, dedizione, tutti insieme nella stessa direzione.
Le sconfitte
La fatica, la sconfitta sportiva, le sofferenze, finire in panchina o meno, sono altre analogie del calcio con quello che capita ad un attore. In questo video Luca Zingaretti parla delle sue prime brucianti sconfitte e fa un’analogia con un aneddoto che si racconta dell’attore Harrison Ford:
L’ingresso in Accademia
Alcuni attori lo sono diventati per caso, altri per vocazione. Luca Zingaretti ad un certo punto è entrato all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica. Com’è avvenuto? E’ stato lui a lasciare il calcio o il calcio a lasciare lui? In questo video Luca Zingaretti parla della scelta di entrare all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica, del suo provino e della parentesi del militare durante l’accademia
Luca Ronconi: l’omaggio di Luca Zingaretti
Finita l’Accademia Luca Zingaretti ha lavorato con Luca Ronconi. Di solito restio a parlare del grande attore e regista teatrale, ha deciso per l’occasione di regalarci qualche bel ricordo:
Luca Zingaretti: Io ho lavorato tantissimo con lui. Mi fa piacere che me lo chiediate perché mi hanno chiesto in molti di farlo e io non l’ho voluto mai fare. In certi momenti il silenzio è più forte di tante parole. Ora però vorrei dire un paio di cose: Luca Ronconi era un personaggio talmente straordinario che ogni volta che andavi a lavorare in un altro posto tutto quello che avevi imparato, e avevi imparato tanto, ti sembrava sempre insufficiente.
Ti sentivi sempre un po’ orfano di Luca perché aveva un modo di leggere le cose assolutamente straordinario e diverso dal solito. Eppure tu l’avevi letto il copione, l’avevi studiato. Poi arrivava lui e cambiava le cose: come quando davanti ad una scacchiera tu stai lì per due ore e non vedi la mossa, arriva l’avversario, muove e fa scacco matto.
Nell’arco di 10 anni avrò fatto undici, dodici spettacoli con lui ma erano un po’ come una festa perché non era ancora diventato affermato, istituzionalizzato. Solo verso l’ultimo periodo aveva preso la direzione del Teatro Stabile di Torino. E quindi era sempre una festa con un gruppo di attori che rispondevano alla chiamata del maestro. Quando lui chiamava si lasciava tutto e si andava.
Devo dire che il dolore più forte nell’apprendere la sua scomparsa, al di là del lato umano, è stato che ad un certo punto veramente mi sono detto ‘non mi capiteranno mai più quei momenti di estasi assoluta che ti capitava di avere, quei due/tre momenti nell’arco di uno spettacolo’. Erano quei momenti nei quali veramente pensavi di aver capito tutto e che nei suoi spettacoli avvertivi sempre.
Io dico sempre che rispetto ad un lavoro teatrale non è tanto importante darsi delle risposte giuste quanto piuttosto porsi delle domande giuste. Ecco lui era uno che ad un certo punto ti diceva ‘Questo personaggio ha le scarpe gialle, è ovvio no?’ E tu ti chiedevi ‘Perché ha le scarpe gialle’ e lui ti portava piano piano ad essere certo che quel personaggio non poteva che avere le scarpe gialle.
Termina qui la prima parte del focus dedicato a Luca Zingaretti. Continua a leggere la seconda parte.