Squola di Babele è l’ultima opera della regista francese Julie Bertuccelli, che ha partecipato al Festival del Cinema di Roma nel 2013, e che finalmente uscirà nelle sale italiane dal 23 aprile distribuito dalla Kitchen film, la casa di distribuzione della regista Emanuela Piovano (Le Stelle Inquiete), che ha presentato la pellicola a Roma insieme alla regista, nell’ambito della rassegna Rendez Vous del Cinema Francese, giunto alla sua quinta edizione.
Squola di Babele
Julie parte da una sua ricerca sempre ricorrente di conoscenza dell’altro, di coloro che fanno parte di altre culture e religioni, ed è stata questa sua curiosità a farla indagare, attraverso l’occhio della macchina da presa, una classe di inserimento di una scuola media, formata da 22 alunni di paesi differenti: Inghilterra, Polonia, Bielorussia, Cina, America, Iran, Africa.
In Francia, soprattutto nei comprensori scolastici del centro, è normale che esistano questi supporti agli stranieri che devono essere inseriti poi nelle classi normali, e viene insegnato loro bene il francese, ed anche tutte le altre materie come matematica, storia, geografia, di modo che non si sentano in difficoltà a seguire le lezioni e di essere alla pari con gli altri scolari.
Purtroppo in periferia non ce ne sono molte, perché nascono dal numero degli stranieri iscritti durante l’anno, quindi se non raggiungono la quota, non possono essere create. In Italia non esiste questo tipo di supporto per gli adolescenti, che si trovano ad avere molte difficoltà di inserimento.
Durante le riprese di Squola di Babele i ragazzi si sono gradualmente abituati alla presenza in classe della regista e soprattutto lei è stata brava a rispettare i loro spazi ed i loro sentimenti, senza forzare la recitazione, e spiegandogli bene che era un documentario e non un film di finzione e non sarebbero apparsi in televisione, come nei talent. Ovviamente in fase di montaggio, ha scelto poi di inserire delle scene che per lei avessero un valore, imponendo il suo punto di vista di ciò che voleva comunicare allo spettatore, ma sempre con molto rispetto e garbo.
Il documentario Squola di Babele ha un buon ritmo narrativo. Si sorride e si crea un empatia con i protagonisti e si ascoltano le loro storie in maniera molto partecipata. La regista ha voluto riprendere questa fase dell’adolescenza perché e quella in cui il bambino si forma e diventa più consapevole di cio che gli accade intorno, iniziando a gettare le basi per il proprio futuro.
I preconcetti fanno parte delle nostre paure, soprattutto derivano dall’ignorare l’altro. Una volta superata questa barriera, si scopre che la diversità non è altro che un valore aggiunto, e che questi insieme di solitudini, conoscendosi, alla fine, non si sentono più isolati, condividendo gioie e dolori.
Squola di Babele è davvero un piccolo gioiello ed uno specchio della vita reale che va decisamente visto e di cui va fatto tesoro, e che fa molto riflettere su molte tematiche dei grandi temi della vita, della religione e di quanto i grandi influiscano poi sulla crescita interiori dei ragazzi e creando pregiudizi inutili che i bambini non hanno.