Esce anche in Italia Giovedì 20 Giugno il nuovo film di Fernando Meirelles (The Costant Gardner – La cospirazione), tratto da un romanzo di Arthur Schnitzler e con un cast variegato composto da star hollywoodiane e semiesordienti: arriva in sala Passioni e desideri.
Passioni e desideri
La trama si muove a 360 gradi (il titolo originale, tra l’altro) su un gruppo consistente di personaggi le cui scelte e incontri casuali serviranno da mezzo e spinta per scelte, decisioni e considerazioni sulla propria vita, sul futuro, su se stessi. Tutto questo concatenarsi di eventi su un unico arco temporale partirà quando Michael (Jude Law; Effetti collaterali, Anna Karenina) rinuncerà alla compagnia di una escort per tornare dalla moglie (Rachel Weiz; Il grande e potente Oz, The Bourne Legacy) e dal figlio.
Trailer del film:
La vita è l’arte dell’incontro
Da questa celebre frase del poeta Vinicius si può condurre l’analisi relativa al film. “Passioni e desideri” parte dalla concezione di analizzare la psiche, i pensieri, i contenuti morali ed etici di una serie variegata di personaggi, di intrecci amorosi ed inevitabili realtà che nell’insieme compongono un collage che è ben equilibrato, per quanto gli attori non hanno una direzione del tutto eccezionale da un regista che ha preferito concentrarsi su una sperimentazione quasi alla Soderbergh (che il film stesso richiama nel suo “Babel”), con un montaggio accanto che spesso rompe archi narrativi e dialoghi portando avanti il pensiero del “mostrare solo ciò che è basilare per la narrazione”, entrando spesso anche nella diegesi del film con, ad esempio, i fermi immagine dovuti alle fotografie che vengono scattate nella finzione filmica.
È un oggetto non del tutto perfetto, che potrebbe in parte ricondurre a un “Cloud Atlas” su genere sentimentale e non fantascientifico per l’idea della circolarità di situazioni e personaggi quanto al “Magnolia” di Paul Thomas Anderson per i vari intrecci e storie tra i personaggi.
Lo sceneggiatore di “Frost/Nixon: il duello”, Peter Morgan, decide qui di adattare uno dei testi teatrali di Schnitzler (“Girotondo”,1900) e di portare però, nell’inserire un linguaggio prettamente filmico, una visione forse un po’ più stereotipata ed esplicita nei sentimenti di quanto non fosse l’opera originale, dove alla base si presentava il concetto dell’impossibilità dell’uomo di amare eppure al suo continuo tentativo di provarci, per quanto poi i rapporti si riducono soltanto al mero atto sessuale.
Ecco che nel film, invece, proprio bypassando il concetto enunciato dal poeta, citato nel titolo di questo paragrafo, si decide di inserire un sentimentalismo, un ragionare più esplicito e semplicistico che, specie nel finale, può disturbare rispetto alle premesse mostrate nella prima parte. Non è negativo l’ovvio tentativo di aggiornamento rispetto ad un testo originale di oltre cento anni fa, eppure il risultato non continua a non convincere.
Spicca certamente la presenza stilistica di regia e montaggio, la classe del cast (spicca un profondo Anthony Hopkins) e un esercizio di sceneggiatura che di certo allieta e coinvolge lo spettatore.