Esce il 24 gennaio nei cinema italiani La Favorita, il nuovo, disturbante film di Yorgos Lanthimos che, per rimanere coerente con il suo stesso titolo, è anche il super favorito agli Oscar 2019 – essendo nominato in quasi tutte le categorie. Sorta di Eva contro Eva in costumi settecenteschi, si avvale delle interpretazioni strepitose di Olivia Colman, nel ruolo della Regina, Rachel Weisz, in quello di Lady Marlborough e Emma Stone in quello dell’aspirante nuova favorita, Abigail.
La Favorita
Siamo alla corte inglese di inizio ‘700. Sullo sfondo (parecchio vago) il perdurante conflitto contro la Francia. La Regina Anna (Olivia Colman), stanca, malata, dolorante nel fisico e nell’animo, si affida in tutto e per tutto alla sua amica d’infanzia, consigliera nonché segreta amante, Sarah Churchill, duchessa di Marlborough (Rachel Weisz).
Sarah, volitiva, intelligente, sbrigativa e fervente appassionata di politica, governa di fatto il paese suggerendo alla fragile sovrana le mosse da attuare. I favori di Lady Marlborough vanno in particolare al consorte, valente combattente in prima linea contro il nemico francese, e al Conte Godolphin (James Smith), Tesoriere dello Stato e alleato del marito.
La situazione cambia drasticamente con l’arrivo nel palazzo reale di una lontana cugina di Sarah, Abigail (Emma Stone), caduta in disgrazia a causa dei debiti di gioco del padre e ora costretta al rango di serva. Dapprima innocente e apparentemente maldestra, viene assunta come sguattera. Ben presto riesce a farsi “promuovere”, grazie a delle erbe semi-miracolose da lei raccolte, in grado di lenire il terribile dolore alle gambe della Regina, sofferente di gotta. Mentre Sarah continua ad essere concentrata sulle questioni politiche, Abigail approfitta per entrare nelle grazie di Anna e sostituirsi alla cugina prima come amante e poi come consigliera.
Sottostimandone la pericolosità, Sarah si lascia soppiantare, fino ad essere quasi uccisa dalla sempre più machiavellica Abigail, in un turbinoso gioco di intrighi, spietati calcoli e brame di potere – dove la posta in gioco è l’unica indipendenza all’epoca concessa ad una donna, quella di decidere del proprio destino.
Uno scontro tra titani dove gli uomini restano sullo sfondo
Così come il conflitto con la Francia, anche le figure maschili sono pressoché irrilevanti ne La Favorita: i mariti sono spesso pedoni nelle mani delle rispettive spose, impegnate a combattere la vera guerra per la conquista del potere. Lord Marlborough va a combattere inviato da Sarah perché si faccia onore al fronte, e quando torna viene privato degli encomi che gli spettano perché ormai la moglie ha perso la sua posizione di favorita della sovrana. Samuel Masham (Joe Alwyn), il barone sposato in fretta e furia da Abigail per potersi riprendere il titolo nobiliare che il suo sciagurato padre le aveva negato, è talmente inerme da restare seduto come un bamboccio anche durante la sua prima notte di nozze, mentre Abigail riflette ad alta voce.
Lanthimos sembra voler espressamente sottolineare l’assunzione di comportamenti mascolini da parte delle sue tre protagoniste: Sarah (Rachel Weisz) veste abiti da uomo, cavalca come un uomo, spara come un uomo, si interessa alla politica, al lavoro, rientra tardi dalla sua amata (regina), la tratta senza mezzi termini, come una bimba capricciosa che si lagna o che gioca a farsi desiderare; Abigail (Emma Stone) si fa rincorrere da colui che dovrebbe essere il suo cacciatore ma ne è invece l’evidente preda, il barone, lo atterra al suolo con qualche colpo ben dato, gli dice che sarebbe più bello al naturale, senza cipria, rossetto e parrucca. E poi spara anche lei quanto e meglio di un uomo, con una precisione solo inizialmente (quando giocava la parte dell’innocuo agnellino) dissimulata, blandisce con complimenti evidentemente falsi e stereotipati l’ingenua Anna (“se fossi un uomo ti strapazzerei tutta”), la seduce, la manipola (in tutti i sensi del termine), la usa per i suoi scopi, così come usa l’altro uomo di apparente potere, il conte Harley (Nicholas Hoult), che pensa di poterla utilizzare come spia del volere della Regina e viene invece utilizzato per farla tornare ad essere una nobildonna .
Anche la stessa Anna (Olivia Colman), pur se tormentata, fragile, infelice, sventurata nelle sue maternità mancate, in parte ingenua, è dipinta comunque con tratti normalmente riservati ai maschi: con un appetito vorace – per il cibo, per le dimostrazioni d’amore, per il piacere sessuale; con degli scatti irrefrenabili d’ira – contro i sottoposti, contro chi le capita a tiro, contro chi le ricorda che la vita è stata crudele con lei, e con i suoi figli ancora di più. Con un fare prepotente e abusivo, quando si accorge (SPOILER ALERT), a fine film, che la dolce e amorevole Abigail ha in realtà solo complottato per prendere il posto di Sarah. E non per desiderio nei suoi confronti, ma nei confronti dei privilegi che lei le poteva accordare.
Se anche l’universo non è – come di consueto con Lanthimos – il dramma greco, di ispirazione mitologica, trasferito nel mondo contemporaneo, sempre di scontri titanici si tratta. E di sentimenti primordiali, di lotta – anche tra tre mostri di bravura che si rubano costantemente la scena (e che, non a caso, sono tutte e tre candidate all’Oscar per le loro strabilianti interpretazioni). Di impulsi quasi bestiali: amore, sesso, potere, sopravvivenza. Ognuna di loro si batte per esistere, per affermarsi (come dice, lucidamente, il personaggio della Stone, “Io sono dalla mia parte. Sempre”). Per ricevere amore (la regina Anna); per decidere il destino degli uomini (Lady Marlborough); per godere dei piaceri della vita (Abigail). E quindi forse, ancora una volta, il mito c’è, solo un po’ più nascosto, e lo scontro, a cui si è dato una parvenza di storicità, è quello tra Era (la dea madre, la Regina, legata al tema del parto), Atena (la dea della guerra e della sapienza, la stratega abile e diretta) e Afrodite (dea dell’amore, più frivola, più spesso manipolatrice).
Se il mito è presente, ma più nascosto, altrettanto lo è il contemporaneo, soltanto e vagamente mascherato dall’antico: La Favorita è sì, film in costume, ma il suo linguaggio è estremamente attuale, totalmente anacronistico, spesso crudo ai limiti del volgare, quasi sempre brillante nelle sue frecciate e nei suoi botta-e-risposta sferzanti; la realtà storica è abbozzata, ma con la leggerezza di chi la prende a semplice pretesto per raccontare una storia senza tempo (come da classica tragedia greca); i piani sono distorti da una fotografia estremamente ben realizzata, dall’uso di fish-eye che esasperano i confini angusti e claustrofobici dell’universo-mondo del palazzo reale, dagli obiettivi che amplificano i primi piani e rendono interminabili i corridoi attraversati in sedia a rotelle dalla Regina, alterano ulteriormente i suoi lineamenti, deformati dal dolore fisico e morale fino a diventare maschera tragica a tratti patetica, grottesca quasi. La danza che viene ballata a corte diventa quasi hip hop, quasi vogueing, la musica classica e austera di Bach, Schubert e Vivaldi si fonde a compositori contemporanei, fino ad arrivare a includere Elton John.
Il meno Lanthimos-iano all’apparenza dei film del regista greco resta e diventa profondamente Lanthimos.
Con le sue contaminazioni, i suoi riferimenti mitici, la commistione tra antico e moderno.
Con i colori diafani e glaciali (freddi che più freddi non si può) della fotografia, che si mischiamo a schizzi di oro ocra e blu regale, creando, con gli arazzi alle pareti, dei dipinti spettacolari. Per poi sporcarsi con il sangue che schizza sul viso di Sarah, con gli escrementi in cui cade Abigail, ripetutamente spinta a terra al suo arrivo, prima di poter dimostrare a tutti di che pasta sia fatta, con l’arancio dei frutti lanciati contro un sedicente putto cresciuto (un panciuto uomo nudo, con boccoli, che gli annoiati aristocratici si divertono a colpire, tanto per ricordarci che i ricchi viziati sono presenti in ogni epoca).
E infine con gli immancabili, spietati sentimenti dell’umano, nella sua personale concezione della categoria – dove, ancora una volta, la più anaffettiva e feroce è la presunta vittima designata – nella fattispecie, Abigail, forse perché accecata dalla vendetta per i torti subiti, forse perché semplice calcolatrice.
Bilancio finale de La Favorita
Più accessibile rispetto a lavori precedenti, per questo rivestimento da film in costume su un triangolo amoroso al femminile, mantiene intatte, a uno sguardo più attento, quelle caratteristiche che sono diventate la cifra stilistica di Yorgos Lanthimos, riuscendo probabilmente a non deludere anche i suoi estimatori della prima ora. Magistrali le performance di tutte e tre le principali interpreti – anche se la doppia natura di Abigail finemente tratteggiata da Emma Stone meriterebbe più delle altre il riconoscimento per cui è stata candidata (attrice non protagonista).