Cecità, Saramago al cinema

Parlare di un film come Blindness (Cecità) tratto dal bellissimo romanzo di Saramago, non è cosa semplice; per chi ha letto e amato il libro la pellicola sembrerà certamente riduttiva, non all’altezza della parola scritta, per chi non ha letto il romanzo il film potrà risultare superficiale, forse un pò banale, quindi come approcciare una recensione senza cadere nelle trappole sopracitate?

Del tema della vista/non visione si erano già occupati con discreto successo Lars Von Treir con il bellissimo  “Dancer in the dark“, l’ultimo Almodovar con “Abbracci spezzati“, il Takeshi Kitano di “Zatoichi” e andando ancora più indietro con “Profumo di donna” di Dino Risi si era toccata la tematica del “vedere oltre-vedere dentro”.

Al regista  brasiliano Fernando Meirelles il compito invece di tradurre in immagini la forza metaforica del testo di Saramago, compito non facile quello di riflettere sulla condizione umana, sul senso di solidarietà e sull’indifferenza, sul potere che si afferma con la violenza, sulla diversità e su tutta la simbologia dello scrittore.

La locandina di Cecità

Cecità racconta di un’improvvisa epidemia che colpisce un’intera città: i malati, chiamati “Infetti” vengono internati dal governo in delle strutture-prigione dove vengono completamente lasciati a loro stessi.  All’interno delle strutture saranno costretti a creare nuovi assetti sociali, formare nuove leggi, scoprire istinti della natura umana nella difficile sopravvivenza. Solo una donna (Julianne Moore), l’unica a non aver perso la vista, dovrà farsi carico di tutte le vittime, aiutarle, sacrificarsi per loro, portarle verso una via di uscita.

Il film, presentato a Cannes, non ha ricevuto particolari elogi ed è per questo che il regista ha apportato sostanziali modifiche: via la voce fuori campo di Danny Glover-l’uomo con la benda, giustamente relegata a qualche momento, colonna sonora rimaneggiata, aggiunta di qualche scena e colore meno cupo, anche se l’atmosfera della nuova edizione risulta comunque fredda e sporca (utile secondo me alla narrazione).

Il film ha diversi punti di forza: il primo è sicuramente l’interpretazione di Julianne Moore, asciutta,  ruvida, sgrezzata dagli orpelli delle interpretazioni hollywoodiane (la Moore mette in mostra se stessa -e le sue tantissime lentiggini- dando al personaggio una rara credibilità); altro punto a favore è la messa in scena dei dormitori, gli ambienti e le suggestioni sono di una resa cinemastografica notevole.

Le difficoltà nella trasposizione cinematografica
dal libro riguardano invece, secondo me, il tentativo non riuscito di una sorta di critica sociale attraverso la malattia dei personaggi e lo sguardo del regista che poco fa aderire lo spettatore alle vicende, sguardo perso in una sorta di estetica del cinema forse troppo raffinata (certi passaggi risultano gratuiti e già visti/vissuti).

Nella sua interezza comunque rimane un adattamento abbastanza genuino, l’impresa certo non era delle più semplici, e chi non ha letto il libro  può trovare spunti interessanti e riferimenti senza dubbio da approfondire, magari tuffandosi immantinenti nel  classico di Saramago.

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  1. samuela

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