“Il Discorso del Re”, di Tom Hooper (seconda parte)

Proprio nel giorno della sua uscita italiana (la prima parte della recensione è qui), ecco la seconda parte della recensione dedicata a “Il Discorso del Re”: il film di Tom Hooper dedicato alla figura di Giorgio VI d’Inghilterra.

Nel frattempo, questa produzione anglo-australiana si è vista assegnare ben 12 nomination all’Oscar, surclassando tutti gli altri candidati. Vediamo un po’ se sono meritate…

I tre attori

A cominciare dall’aspetto più evidente della pellicola, che si regge sulla bravura degli interpreti: il protagonista Colin Firth, nella parte di Giorgio VI appunto, ed i non protagonisti Helena Bonham Carter (sua moglie Elizabeth, ovvero la futura “regina madre” di Elisabetta II) e Geoffrey Rush (nella parte di Lionel Logue, il bizzarro logopedista australiano).

Quest’ultimo, che personalmente non ricordavo dai tempi di Shine – il film che nel 1996 gli valse a sua volta l’Oscar – dà effettivamente in “Il discordo del Re” una prova di bravura spettacolare. Quanto a Colin Firth, la sua interpretazione è forse ancora più difficile, perché incarna un personaggio che fa della mediocrità il suo tratto più evidente. Ma come si fa a rendere “evidente” la mediocrità? Me lo chiedo proprio osservando il suo volto, i suoi grandi occhi impauriti mentre cerca di pronunciare le parole che non gli vengono.

Il potere del suono

Perché, come detto nella prima parte, “Bertie” – questo è il suo nomignolo in famiglia, dove la magniloquenza dell’Altezza Reale lascia il posto all’essere umano – ha da giovane questa grave forma di balbuzie che costituisce un altrettanto grave problema per il ruolo di alta responsabilità che è chiamato a ricoprire.

“Il Discorso del Re” racconta la sua storia a partire da quando era solo il secondogenito di Giorgio V, destinato ad essere il fratello del Re. Ma in seguito le sue responsabilità si riveleranno enormemente più grandi: nel 1936 infatti suo fratello abdica, e Bertie viene incoronato come Giorgio VI.

E questo “discorso” cui il titolo fa riferimento è proprio quello culminante nella sua storia, quando – ormai emancipato dalla balbuzie, proprio grazie agli esperimenti del dottor Logue – dimostrerà al suo popolo il coraggio e la fermezza necessari per guidare l’Inghilterra a resistere alla minaccia di Hitler.

“Il Discorso del Re”, al di là della perfezione tecnica dell’affresco storico, è anzitutto questo: una riflessione sul potere del suono, sulla voce come strumento di potere – in positivo nel caso di Bertie, e in negativo con Hitler – nell’epoca delle comunicazioni di massa.

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