L'orto americano

L’orto americano – il nuovo film di Pupi Avati

Il 6 marzo 2025 tornerà al cinema Pupi Avati con L’orto americano, un film che intreccia horror e dramma, tratto dal suo omonimo romanzo pubblicato nel 2023 da Solferino. La pellicola è stata presentata in anteprima come film di chiusura all’81ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia nel settembre 2024.

L'orto americano

L’orto americano

A Bologna, nel 1945, nell’Italia appena uscita dalla Seconda Guerra Mondiale, una giovane ausiliaria statunitense entra nella bottega di un barbiere per chiedere informazioni. La sua presenza cattura l’attenzione di un giovane aspirante scrittore, psicologicamente instabile, che se ne innamora a prima vista. L’anno successivo, in cerca di ispirazione per il suo libro, il giovane si trasferisce negli Stati Uniti e si ritrova vicino di casa di una donna la cui figlia, Barbara, era stata mandata in Italia come ausiliaria durante la guerra. Da allora, la ragazza non ha più fatto ritorno né dato notizie, se non attraverso una lettera in cui annunciava di essere prossima a sposare un italiano. Da quel momento, di lei si sono perse completamente le tracce e risulta ufficialmente dispersa.

Le due abitazioni, quella del giovane e quella della madre di Barbara, sono separate da un orto da cui, durante la notte, si odono urla misteriose. Convinto che Barbara sia la stessa ausiliaria di cui si era innamorato, il giovane decide di tornare in Italia per cercarla. Tuttavia, il suo viaggio lo porta a imbattersi in situazioni sempre più inquietanti e in due fratelli dal comportamento losco, fino a quando non scopre la verità sulla sorte di Barbara.

Il trailer del film

L’orto americano – un film in bianco e nero

La pellicola è interamente girata in bianco e nero. Potrebbe sembrare un elemento che appesantisce la visione, ma in realtà è esattamente il contrario. La fotografia non è solo un omaggio al cinema classico, ma un vero e proprio strumento narrativo che amplifica il senso di mistero e inquietudine. Il contrasto tra luci e ombre scolpisce gli ambienti, avvolge i personaggi e li immerge in un’atmosfera sospesa tra sogno e incubo.

L’Italia del dopoguerra appare spettrale, con vicoli bui, botteghe dall’aria polverosa e paesaggi che sembrano usciti da un ricordo sbiadito. L’America, invece, non è quella luminosa delle opportunità, ma un luogo altrettanto alienante, dove il protagonista si perde in una realtà che sembra sfuggirgli di mano.

Un viaggio nella mente del protagonista

Uno degli aspetti più affascinanti del film è il suo punto di vista interamente soggettivo. Noi spettatori vediamo il mondo attraverso gli occhi del giovane scrittore, percepiamo la realtà come la percepisce lui. Questa scelta ci trascina in un’esperienza quasi allucinatoria, in cui non siamo mai certi di cosa sia reale e cosa sia frutto della sua ossessione.

Il protagonista, interpretato da un magistrale Filippo Scotti e di cui non sappiamo il nome per tutto il film, non è un semplice testimone degli eventi, ma un uomo tormentato, fragile e psicologicamente instabile. Si può dire che, in un certo senso, la sua ossessione per Barbara lo consuma, portandolo a sovrapporre ricordi, illusioni e incubi. La sua percezione si fa sempre più confusa e, con lui, anche noi iniziamo a dubitare di ciò che vediamo. In questo modo, il film ci costringe a entrare nella sua mente, a vivere il suo smarrimento e la sua angoscia.

L'orto americano
Una scena del film

Un horror senza essere horror

Pur non appartenendo al genere horror nel senso tradizionale, L’orto americano è un film dell’orrore senza essere un film horror. A tratti ricorda Povere Creature! per l’uso di espedienti narrativi che destabilizzano lo spettatore, immergendolo in un’atmosfera sospesa tra realtà e allucinazione. Non ci sono mostri, fantasmi o scene di violenza esplicita, eppure la tensione è costante, quasi soffocante.

L’orrore qui è più sottile, fatto di silenzi carichi di significato, di sguardi sfuggenti, di dettagli che sembrano fuori posto. È un’angoscia che cresce lentamente, insinuandosi sotto la pelle, fino a farci dubitare di ciò che stiamo vedendo. È il terrore dell’ignoto, della perdita di controllo, dell’incapacità di distinguere la verità dalla suggestione. Le urla che provengono dall’orto, le ombre che si muovono nella notte, gli sguardi sfuggenti della sorella di Barbara : tutto contribuisce a creare un senso di minaccia che cresce lentamente, insinuandosi sotto la pelle. Il film non ha bisogno di spaventarci con immagini scioccanti, perché il vero orrore è nella mente del protagonista – e, inevitabilmente, nella nostra mente.

L'orto americano
Una scena del film

La profondità psicologica dei personaggi

La profondità psicologica dei personaggi è uno degli elementi più straordinari del film. Ogni figura è costruita con una precisione quasi maniacale, tanto che ognuno di loro sembra portare dentro di sé un mondo segreto, fatto di traumi, illusioni e speranze infrante.

Il protagonista non è un eroe e nemmeno un classico personaggio tormentato: è un uomo alla deriva, che cerca disperatamente un senso nella sua esistenza. La sua ricerca di Barbara non è solo una ricerca d’amore, ma un bisogno ossessivo di dare un ordine al caos che lo circonda. E proprio perché la storia è filtrata attraverso il suo sguardo, anche noi percepiamo Barbara come un’ombra sfuggente, un’idea più che una persona reale. Barbara è il cuore del mistero: un fantasma che aleggia sulla narrazione, un’assenza che diventa sempre più pesante. Non sappiamo mai davvero chi fosse, cosa volesse, cosa le sia successo. E poi ci sono gli altri personaggi: la madre di Barbara, intrappolata in un’attesa disperata; la sorella, il marito della sorella, la cui sola presenza basta a far salire il senso di disagio; il barbiere, silenzioso custode di una storia che sembra destinata a ripetersi. Ognuno di loro aggiunge strati di ambiguità e tensione alla narrazione.

L’orto americano – perché vederlo

L’orto americano non è un film che si esaurisce con i titoli di coda. È un viaggio psicologico che lascia lo spettatore sospeso in un limbo di domande senza risposta. Non è una storia che rassicura, che fornisce certezze o che offre spiegazioni chiare. È un’esperienza immersiva che insinua il dubbio, che fa vacillare le certezze, che costringe a confrontarsi con la fragilità della memoria e con il potere distruttivo dell’ossessione. Come l’orto che dà il titolo al film, la storia mette radici nella mente dello spettatore, lasciandolo con un senso di inquietudine che continua a crescere anche dopo la fine.

I video della conferenza stampa

Di seguito alcuni estratti della conferenza stampa del film

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