Esce venerdì 2 marzo, Gli sfiorati, opera seconda di Matteo Rovere tratta dall’omonimo libro di Sandro Veronesi. Nel cast Andrea Bosca, Miriam Giovanelli, Asia Argento, Claudio Santamaria e Michele Riondino. Ecco la nostra recensione in anteprima.
Gli Sfiorati
di Beatrice Campagna
Tratto dall’omonimo romanzo di Sandro Veronesi, Gli sfiorati ha come protagonisti Mète e Belinda. Non si sono praticamente mai visti e in comune non sembrano avere nulla: ciò che li unisce è il fatto di avere lo stesso padre. Ragazzo introverso e ombroso, Mète è un giovane grafologo, attraverso il suo lavoro scopre il carattere, la personalità che le persone nascondono dietro la scrittura.
Lei è un’adolescente spagnola inafferrabile, bella, nel pieno della ricerca di se stessa. Dal momento in cui sono costretti a trascorrere sotto lo stesso tetto la settimana precedente il matrimonio di loro padre con la madre di Belinda, le loro vite si intrecciano definitivamente.
Mète evita accuratamente la sorellastra, trascorrendo fuori casa più tempo possibile; tuttavia, dopo un inizio complicato, cominceranno ad accettare questa convivenza, a conoscersi, a trovarsi, finchè il loro rapporto non diventa qualcosa di morboso e difficile da gestire.
Attraverso le loro storie e quelle di altri personaggi, tutti molto caratterizzati e approfonditi, vengono alla luce le contraddizioni e le insicurezze di una generazione (quella dei giovani adulti di oggi) che ha vissuto tutto e tanto, senza mai afferrare niente davvero.
Gli “sfiorati” sono tanti, sono ovunque, popolano le strade di Roma trascinandosi da una parte all’altra le loro vite vuote; nascondono la loro solitudine e le loro mancanze dietro ad una bella macchina, vestiti firmati, viaggi ed esperienze di cui riempirsi la bocca, false amicizie, storie di sesso: ognuno trova la sua soluzione, il suo modo di apparire.
Gli “sfiorati”sono maestri nell’ingannare se stessi e gli altri, nel vivere una vita fittizia che gli sfugge continuamente di mano. Inquieti ma positivi, perennemente alla ricerca di qualcosa, rappresentano una generazione ferma da anni, che si lascia spesso sfuggire occasioni importanti, rendendosi conto solo più tardi di quello che gli è passato accanto.
Il personaggio che teorizza l’esistenza di questa categoria di persone è quello interpretato da Claudio Santamaria, Bruno, un grafologo collega di Mète, separato, che spera di ottenere la custodia della figlia. Egli è sicuramente il personaggio più “reale” della storia, crede davvero nel suo lavoro, ha problemi concreti da affrontare, obiettivi da raggiungere e da buon amico cerca di scuotere Mète dal suo torpore esistenziale.
Il personaggio di Damiano (Michele Riondino) invece, nato durante la stesura della sceneggiatura, è il tipico donnaiolo, arrivista e superficiale ben inserito nel contesto di Roma. Agente immobiliare, tratta principalmente case appartenenti al centro storico della capitale, vendendole a persone sempre “di passaggio”, arricchiti di varia natura, stranieri; persone, insomma, che probabilmente neanche comprendono il reale valore di abitazioni così antiche: possono viverle, senza mai possederle realmente.
Ecco, quindi, che si apre un’altra porta sul concetto di “sfioratezza” che ricorrerà in varia forma durante tutta la durata del film. A detta dei protagonisti e degli autori, Roma è un tratto caratteristico e imprescindibile della storia: le sue pigrizie e le sue contraddizioni, l’antico che si incontra e scontra con il moderno, l’immobilità di una città strafottente che si compiace della sua bellezza ma è perennemente segnata dal cartello “lavori in corso”, sono tutti elementi che rendono Roma il contesto più naturale per lo svolgersi delle vite incerte, mutevoli, fluide di Mète e degli altri caratteri.
Una nota particolare per Asia Argento, molto brava a rendere il lato comico e insieme drammatico del suo tormentatissimo personaggio: interpreta Beatrice Plana, una “creatura della notte” tipica del mondo romano; una tipologia di persona davvero comune, standardizzata, sempre in tiro e molto dinamica, sicura di se e schiava assoluta del mondo dell’apparire.
E’ una donna in realtà molto sola e fragile, che vive male la sua situazione palesando pian piano tutti i suoi disagi interiori: facendoci un po’ sorridere, un po’ provare pena per lei, costituisce il vero e proprio manifesto della “sfioratezza”.
Film sicuramente non facile da realizzare per le tematiche che affronta (soprattutto quella dell’incesto), la tensione drammatica che accomuna i personaggi viene mitigata da molti tratti tipici della commedia: si fanno apprezzare alcuni dialoghi brillanti e scene divertenti, che alleggeriscono qui e lì la staticità della storia, scandita da sequenze molto lunghe.
Alcune scelte discutibili, soprattutto nella parte finale, tendono un po’ a banalizzare e a semplificare il tutto. Nel complesso è un film godibile anche se sicuramente eccessivo nella durata.
La conferenza stampa
Ecco due video della conferenza stampa nei quali parlano il regista Matteo Rovere ed i protagonisti Andrea Bosca e Claudio Santamaria
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