Adisa o la storia dei mille anni: alla scoperta dell’identità di un popolo

È un documentario che vale assolutamente la pena di vedere e di proporre alle scuole.. potrebbe essere un primo passo per far conoscere e determinare l’identità di questo popolo.

“Quando ti placherai vorace cuore mio, stanco e desideroso..
Qui non mi fermo, forse sognerò…”

Adisa o la storia dei mille anni è il lungometraggio di esordio di Massimo D’Orzi

Questo lavoro nasce dalla volontà e dalla necessità del regista di raccontare le tristi e dolorose vicissitudini che deve affrontare oggi il popolo Rom (gli “zingari”) della Bosnia ed Erzegovina.

Il documentario, però, seppur (forse) involontariamente, si ritrova ad essere un film di memoria storica dove si raccontano lampi di vita, ricordi, pensieri, speranze per il futuro, sogni, desiderio di stabilità e di equilibrio culturale e geografico.

Sullo schermo prende vita la vera anima della comunità Rom con la sua musica, la sua lingua, le sue abitudini e, appunto, la sua storia.

Massimo D’Orzi utilizza un innovativo linguaggio della macchina da presa che, molto spesso, rimane immobile o ci regala intensi primi piani, soprattutto dei bambini e dei più anziani, come a voler sottolineare quali siano le vere forze di questa comunità: da una parte il futuro e la speranza e dall’altra la tradizione e la storia stessa del proprio popolo.

Quelli che appaiono sullo schermo non sono personaggi  ma attivi membri di una società che da anni lotta per la difesa della propria identità e del proprio costume, di un popolo che vaga senza sosta e che riesce a formare una famiglia e a farla crescere nei luoghi più disparati.

Ciò che più colpisce di questo documentario è l’uso della fotografia e della disposizione delle luci. Si possono vedere immagini dove regna assoluto il contrasto chiaro – scuro a tal punto che i volti riescono ad evocare le pitture del Caravaggio e, in alcuni casi (soprattutto per ciò che riguarda gli anziani) quelle di Paul Cezanne. Inoltre, c’è un equilibrio perfetto per ciò che riguarda parole, musica e silenzio. Il tutto accompagnato da immagini che scorrono sullo schermo in tutta la loro malinconica suggestività. Infatti, nei primi venti minuti del documentario c’è quasi del tutto assenza di dialogo ma domina la musica, per poi divenire fitto nella sua parte centrale (dove si racconta il vero corpo di questo popolo) tornando, infine, ad una parte finale dove nuovamente regna la musica nostalgica di una fisarmonica. Ed è proprio la musica la compagna ideale del popolo Rom cui proprio non può rinunciare.

Chi è Adisa?

Adisa è la bambina con cui Massimo D’Orzi decide di identificare, in un certo senso, il popolo Rom del domani. Attraverso gli occhi scuri e profondi di questa bambina egli vede le speranze e la realizzazione del sogno di accettazione della comunità Rom. Suggestivo è il racconto che la nonna fa ad Adisa dicendole cosa deve e non le conviene fare per far sì che abbia una buona vita e che possa crearsi una famiglia, che possa dar vita al suo futuro.

È un’opera di grande valore umano e antropologico anche se tecnicamente non perfetto.. ma ci sono fortunati – e rari – casi in cui il contenuto rende molto di più della sua struttura riuscendo a reggersi perfettamente in piedi seppur poggiato su basi non troppo stabili.

Documento verità, per capire l’orgoglio e la compostezza di un popolo ingiustamente messo al bando da tutti, vero simbolo attuale della discriminazione. Da vedere per capire.

di Francesca Barile

Trailer del film

E’ un viaggio nel mondo misterioso del popolo Rom quello che  propone il regista Massimo D’orzi nel suo docufilm “Adisa o la storia dei mille anni”.

In ottanta minuti e con l’ausilio di una telecamera fissa il suo sguardo cattura voci, espressioni e modo di vivere degli abitanti di un villaggio serbo di etnìa kalachi , un gruppo rom da sempre stanziale e che con il passare degli anni ha dimenticato di trasmettere la lingua originale per parlare esclusivamente in serbo-croato.

I protagonisti della storia aprono le loro case e parlano delle loro tradizioni attuando il metodo dell’autointervista: uno di loro pone domande ad altri che raccontano.

In apertura il regista si sofferma sul panorama mozzafiato e semiselvaggio per poi entrare nella misera dimora di una famiglia; un uomo spiega di aver preso parte alla trascorsa guerra, ma spiega anche che i Rom erano gli unici tra i tanti che abitavano la Serbia a non volere un conflitto.

Si racconta delle orgini del popolo Rom:  giunti in Europa dall’India si unì tranquillamente alle popolazioni autoctone, introducendo alcuni mestieri e dedicandosi soprattutto al commercio..poi tutto cambiò…

Osserviamo i volti delle donne: l’anziana sdentata, non ricorda più da quando si è trasferita nel villaggio che la ospita, la madre, volto indurito dalla fatica parla delle antiche tradizioni ormai perdute, dei riti di buon augurio, la ragazza che non conosce la lingua romanì e Adisa, la bimba che da’ il titolo al documentario. Occhi grandi e neri Adisa parla delle feste tipiche ma dice anche che non invita a casa i compagni di scuola perché si vergogna.

Fuori distese di neve, gli uomini si spostano con i cavalli, bianchi e fieri come nelle favole.

I Rom non hanno mai avuto un’organizzazione politica perché sono un popolo “allegro” ..eppure la loro musica eseguita con la fisarmonica è una dolce malinconica nenìa…sui titoli di chiusura una poesia in italiano di un appartenente all’etnìa sinti ( autoctona nel nostro paese).

Continua a leggere l’intervista al regista Massimo D’orzi.

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