#venezia74: Ci siamo già passati appena qualche anno fa, proprio il 30 Agosto del 2013 e proprio qui alla Mostra del Cinema di Venezia: la regia era sempre di Paul Schrader e il film in questione era The Canyons. Turbe mentali, corpi che si avvinghiano, il corpo e il privato di Lindsay Lohan, persona e personaggio, l’arruolamento di veri attori porno dentro un film che nel suo piccolo riusciva a segnare e scuotere. Dopo un Cane mangia Cane uscito pochi mesi fa in Italia con il solito (inebetito) Nicolas Cage e dove il fulcro era basato sull’azione e sull’incontro dei corpi raccontati, qui la questione posta si muove sul piano spirituale: Ethan Hawke è un prete, ex militare, a capo della First Reformed Church. Fa amicizia di una giovane e bella coppia di attivisti ambientalisti estremisti che sembrano aprirgli gli occhi sulla vera faccia del ‘luogo’ in cui si è rifugiato e su ciò che è oltre a ciò che lo circonda.
First Reformed
Diario di un curato di campagna, verrebbe da dire… un fantastico Ethan Hawke fa vivere tutto il logorio di un uomo diviso tra passione e razionalità, ritrovandosi in un baratro bloccato tra il suo passato e il suo futuro. Se però la chiusa del film sembra tradire il concept e la sua lineare e acuta evoluzione (e questa chiusa banale e prevedibile lo fa perfettamente coincidere a quella di Downsizing di Alexander Payne), è appunto alla regia di Schrader che bisogna tessere le lodi: la sua è una macchina che nella semplicità dei movimenti (spesso si limita a campo, controcampo e totale) riesce a legarsi all’essenza di un racconto che mostra la difficoltà comunicativa tra gli uomini, quanto siano esseri soli logorati dalla stessa capacità di pensiero che li distingue dai primati e di quanto sia ricercato e ‘necessario’ il contatto fisico di cui tanto bene aveva parlato anni fa Paul Haggis nel suo Crash – Contatto fisico.
E come la trama, la macchina da presa di Schrader evolve insieme al suo personaggio, dentro al turbinio oscuro in cui si addentra e potrebbe affondare.
Un’altra volta quindi, dentro la stessa giornata qui al Festival, si parla di problemi legati all’ambiente, alla corruzione dell’uomo e alla possibile fine della Terra: più di Downsizing però, First Reformed riesce ad essere più compatto e meno stratificato, raggiungendo abbastanza appieno il suo obbiettivo in un film quasi da camera dove la parola la fa da padrona (vi ricordate Il Dubbio con Maryl Streep?) senza abbandonare la geometria della messa in scena ed una fotografia che, seppur patinata, ricerca il facile grigiore delle anime distanti e confuse che tenta di raccontare.