Jean Jacques Annaud: le sperimentazioni, le emozioni e l’uso degli animali

Continua la masterclass che il regista Jean Jacques Annaud ha tenuto al BIF&ST 2015. Dopo aver parlato del suo ultimo film L’ultimo lupo e delle sperimentazioni nei suoi film, oggi approfondisce la sua sfida sull’uso degli animali sul set e l’importanza delle emozioni.

La guerra del fuoco

La guerra del fuoco di Jean Jacques Annaud

Le sfide: La guerra del fuoco e l’assenza di dialoghi

La guerra del fuoco è stato un altro esperimento, una sfida non solo tecnica, un racconto senza dialoghi sull’uomo preistorico. Nel video il racconto del regista Jean Jacques Annaud mentre di seguito la trascrizione.

Jean Jacques Annaud: Io all’epoca non parlavo benissimo l’inglese ma ho capito velocemente, girando delle pubblicità, che era possibile raccontare delle storie senza dialogo. Le pubblicità mirano a vendere prodotti con delle storie diverse, con immagini, con il sonoro: io raccontavo una piccola storia per tirare il pubblico mentre la voce doveva vendere il prodotto.

Mi sono quindi reso conto, filmando con vari protagonisti, bambini di varie età e adulti, che era molto importante per il cinema il linguaggio del corpo, il comportamento, perché effettivamente se io mi metto in una posizione o in un’altra non sono la stessa persona ed il linguaggio del corpo è in primo piano mentre le parole sono in secondo piano. Noi possiamo raccontare, far capire, qualsiasi cosa senza un dialogo: ci sono scene celebri con coppie che si innamorano senza che lo spettatore sappia ciò che si dicono perché magari sono dietro una vetrina. Oppure ci sono personaggi che dicono qualcosa e poi c’è una voce fuori campo che contraddice.

Bene, non voglio dire una banalità, ma il cinema in realtà è questo, questa è la grande differenza, noi parliamo prima di tutto al vostro cuore e questo grazie all’espressione degli attori, attraverso le loro pause i loro silenzi, l’interpretazione mentre lo strato, il livello del dialogo è qualcosa di diverso. I registi italiani l’hanno capito da sempre. Per molto tempo il cinema italiano è stato rifatto in post-produzione, forse questo non vale per lei Ettore Scola ma credo che Fellini faceva questo anche per quanto riguarda il doppiaggio.

Sean Connery per esempio quando abbiamo girato Il nome della rosa non era molto contento. Durante le riprese c’era molta confusione e io ho detto a Tonino (Delli Colli, direttore della fotografia n.d.r.) di stare zitto durante le riprese perché il cinema è anche sonoro ma lui mi ha risposto: ‘ma che cinema sonoro! Anche Fellini faceva cinema sonoro e ha vinto 3 Oscar‘.

E’ vero! Quando noi osserviamo il dinamismo e la creatività del cinema italiano non ci rendiamo conto che la contraddizione è proprio quella di fare affidamento sulla creazione del set, l’interpretazione, e poi reinventare il testo.

Jean Jacques Annaud

Il regista Jean Jacques Annaud al BIF&ST 2015

Jean Jacques Annaud: gli animali sul set e gli attori Jean Gabin e Sean Connery

La caratteristica principale di Jean Jacques Annaud è quella di analizzare profondamente il contesto in cui è ambientato il film. Tra l’altro in più di un film, protagonisti sono stati degli animali. In questo video, trascritto in seguito, l’opinione del regista.

Jean Jacques Annaud: Sicuramente ciò che appassiona gli altri registi è cercare nel comportamento di animali, siano questi oche o lupi, qualcosa del comportamento dell’uomo. Noi siamo stati educati a pensare che l’uomo è stato creato in modo diverso da Dio e che la natura e gli animali siano stati messi a servizio dell’uomo perché ne possa disporre liberamente.

Naturalmente gli animali non vedono la situazione allo stesso modo: noi siamo totalmente animali, c’è un piccolo strato di differenza che è la lingua, il dialogo, chiaramente abbiamo il sostegno della tecnica ma dobbiamo tener conto delle nostre pulsioni.

Noi abbiamo avuto la fortuna nei nostri set di avere orsi, lupi, ma dobbiamo capire qual è l’animale che è in noi, piuttosto che averne paura, e cercare di addomesticarlo. Questo significa essere uomo, donna, essere umano: essere capaci di addomesticare la bestia feroce che è dentro di noi. Per questo motivo ogni tanto amo lavorare con l’istinto degli animali perché questo mi aiuta a lavorare meglio con gli attori umani. Noi sappiamo che ciò che è essenziale in una messa in scena è collocare esattamente gli attori nella scenografia ma credo che più collochiamo gli attori vicino al loro istinto, migliore sia il risultato perché ognuno di noi può essere un numero infinito di personaggi.

Quindi all’attore dobbiamo lasciare la facoltà di esprimere i propri istinti e metterli al servizio della storia. L’orso per esempio è un animale che non fa molto ma in realtà quando noi abbiamo elaborato l’effetto del montaggio, abbiamo capito che l’espressione dell’orso è importante in relazione a quella di chi gli sta di fronte. Se vediamo in controcampo un piccolo orso bello questa espressione esprimerà compassione, amicizia, di fronte invece a un cacciatore l’espressione sarà completamente diversa, di paura, di desiderio, di vendetta. La proiezione dello spettatore, anche questa è una lezione rispetto alla messa in scena.

Jean Jacques Annaud

Il regista Jean Jacques Annaud al BIF&ST 2015

Talvolta capita che dobbiamo calmare gli attori perché sapete che ci sono anche problemi di emozione: Jean Gabin per esempio era come l’orso, non faceva niente, eppure si diceva che era un attore geniale perché lasciava lo spettatore capire ciò che si muoveva all’interno del suo animo. Lo stesso vale per gli animali. Noi non dobbiamo stimolare le emozioni ma è il contesto che trasmetterà allo spettatore il senso dell’emozione. Nel mio ultimo film ci sono molte scene commoventi in cui gli animali talvolta hanno avvertito questa emozione e altre volte no come accade per tutti gli attori sul set.

Sean Connery mi diceva ogni volta che non valeva la pena essere commosso ma è il pubblico che doveva essere emozionato allora il mio mestiere è suscitare emozione nel pubblico. Non c’è una differenza enorme tra dirigere un bambino, un essere umano o un lupo io non faccio alcuna differenza tra dirigere un figurante napoletano oppure una star hollywoodiana ma instauro un rapporto di confidenza, amicizia e rispetto proprio per essere capito meglio dal mio attore che sia bipede o quadrupede.

Gli animali: come catturare l’intensità della scena

Jean Jacques Annaud: Se vogliamo condividere il sentimento di intimità, uno dei modi più facili è cercare gli occhi, questa finestra sull’animo. Naturalmente si può anche cercare una mano tremante un cambiamento della posizione ma gli occhi per alcune specie come il lupo e la tigre sono determinanti. I lupi, che non sono poi così diversi dai cani, comunicano molto attraverso le espressioni oculari un po’ come gli uomini. Chi possiede un cane sa che è facile capire se ha vergogna, è felice, infelice, solo guardando i suoi occhi.

E’ ovvio che c’è voluta molta pazienza: generalmente gli attori quadrupedi devono essere messi sul set e una volta inquadrati bisogna creare una situazione simile a quella che genera l’emozione che noi cerchiamo in scena. Si tratta quindi un po’ di usare il metodo Stanislavskij americano per il quale piuttosto che fare finta si cerca di vivere l’emozione del personaggio.

La visione della scuola degli attori inglesi è però diversa, bisogna essere bravi a fingere. Gli attori leggono il giornale e quando arriva il loro turno si mettono davanti alla macchina da presa, vengono cosparsi di sudore artificiale e incominciano a fingere in questo modo.

Con gli animali io sono costretto ad utilizzare il primo metodo quello che prevede di porre l’animale in una situazione molto simile. Cerco di spiegarmi meglio: per quanto riguarda i lupi o le tigri come posso ottenere un’espressione di sorpresa? Nel film I due fratelli per esempio ho usato un elefante. Avevo portato le tigri da lontano, io avevo le macchine da presa già collocate e ho detto piano piano di far uscire l’elefante: le tigri hanno iniziato a guardare e l’elefante ha iniziato a barrire e le tigri hanno fatto un’espressione di sorpresa. Poi abbiamo tagliato la scena e l’abbiamo montata in armonia con la storia. Quello che importa quindi è riuscire a riportare la realtà dell’emozione.

Con i lupi la situazione è stata un po’ più complessa perché sono animali incredibilmente ribelli e selvaggi e anche molto prudenti; la metodologia utilizzata per le riprese è stata simile a quella con gli orsi.

Proprio dopo il film L’orso ho girato il film L’amante. Per me è stato utilissimo perché dopo aver lavorato con animali non professionisti ho lavorato con una ragazza che non aveva mai fatto cinema e neanche mai servizi fotografici perciò ho dovuto cercare di innescare il funzionamento immediato proprio con questo metodo: sono stato molto paziente, ho aspettato e ho collocato le cineprese proprio per sorprenderla e per riprendere le giuste emozioni.

Jean Jacques Annaud

I registi Jean Jacques Annaud ed Ettore Scola al BIF&ST 2015

L’emozione dello spettatore

C’è una frase di Umberto Eco nel saggio Opera aperta che dice che ciò che importa è ciò che il lettore legge non ciò che lo scrittore scrive. Per lo spettatore possiamo dire che ciò che importa è quello che vede lo spettatore o ciò che filma il regista?

Jean Jacques Annaud: Senza questa affermazione di Umberto Eco credo che non avrei mai potuto girare il film L’orso. Questo è stato il mio primo contatto con un film in cui lo spettatore deve partecipare.

Questo libro spiega che qualsiasi immagine, qualsiasi testo, creerà un’emozione che non proviene necessariamente dall’autore ma che è l’interpretazione dello spettatore. Effettivamente un film come L’orso l’ho costruito su questo principio pensando al fatto che lo spettatore potesse anticipare la sequenza successiva: ad esempio un orso vede dei cacciatori e nella testa dello spettatore passano due possibilità, o si arrabbierà e quindi deciderà di attaccare o al contrario guarderà ed indietreggerà, poi altre due opzioni si muoverà per attaccare o invece si allontanerà perché ha paura?

L’anticipazione dello spettatore è fenomenale, ecco perché termino sempre l’immagine con un punto interrogativo per mettere in condizione lo spettatore di immaginare più opzioni, chiedersi cosa accadrà nell’immagine successiva. Nella maggior parte dei casi è un percorso immaginato dallo spettatore perché la storia è quasi tutta scritta nella sua testa e potrà confermare oppure confutarne lo svolgimento.

Termina qui la terza parte della masterclass del regista Jean Jacques Annaud. Continua a leggere la quarta ed ultima parte.

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