[Video] Lezioni di cinema: Fabrizio Gifuni – seconda parte

Seconda parte della lezione di cinema di Fabrizio Gifuni. Oggi ci parla di come affronta i personaggi, anche quelli più difficili e di quanto sia stato per lui fondamentale il metodo di Orazio Costa.

La casa del lago

Fabrizio Gifuni ha, nella vita reale, due figlie. Ne La casa del lago, si ritrova ad uccidere per sbaglio il proprio figlio. Nel video che segue, racconta come affronta l’interpretazione di questi personaggi così estremi.

Il pubblico ed il privato

Gifuni è sposato con Sonia Bergamasco, anche lei attrice. Ma per il suo lavoro non è l’unica persona con cui si confronta:

Con Sonia ci confrontiamo reciprocamente e continuamente: questo credo dipenda dal fatto che ci siamo conosciuti lavorando insieme prima a teatro e poi al cinema. Quando poi abbiamo continuato a farlo condividendo la stessa casa è stato tutto molto naturale.

Ci sono anche alcuni amici con cui mi confronto ma alla fine ci sono delle cose per cui devi fare i conti solo con te stesso. Puoi chiedere aiuto in momenti difficili ma per quanto riguarda le scelte determinanti  devi essere solo. Le fasi di preparazione di un testo a teatro o di un personaggio le condivido molto con le persone che mi sono vicine, perchè lo ritengo fondamentale. Quando mi capita di lavorare ad uno spettacolo faccio sempre leggere ad alcuni amici  la sceneggiatura: sono persone estranee a questo lavoro e spesso più lo sono più possono essere dei punti di riferimento.

Lo sviluppo del personaggi

In questo video Gifuni racconta come costruisce i suoi personaggi e termina con un aneddoto molto divertente che ha coinvolto anche Luigi Lo Cascio.

Orazio Costa

Dell’esperienza di Orazio Costa mi è rimasto moltissimo. Per tutti quelli che come me lo hanno incontrato all’inizio degli anni ’90, quando tornò in Accademia, è stata davvero una fortuna: Costa è stato forse l’unico maestro che abbia avuto questo paese, l’unica figura di maestro puro che abbia dedicato tutta la sua vita all’insegnamento di questa disciplina, a cercare di far comprendere di cosa è fatta.

Secondo me la bontà di un metodo o di un insegnamento si vede molto da cosa ha prodotto. Quando sono entrato all’Accademia di Arte Drammatica, uno dei motivi per cui l’ho fatto è stata la sua storia, sapere che da quel luogo erano usciti attori importanti (Carmelo Bene, Gian Maria Volontè, Giancarlo Giannini), attori che avevano scelto percorsi espressivi completamente differenti.

Quando sono entrato Costa non c’era, era stato mandato via nel ’68 in seguito alla contestazione e in qualche modo anche in accademia si era deciso di sbarazzarsi di quelli che, nella scena de La meglio gioventù, un professore definisce dinosauri. Costa per un certo periodo si è ritirato poi ha aperto un centro a Firenze, è stato a Bari. Infine è stato richiamato in accademia ed è toccato in sorte a noi.

Io gli sono molto debitore perchè quegli anni lì sono stati per me decisivi, ci ha dato gli strumenti fondamentali con cui poi poter sviluppare un percorso espressivo originale, esattamente il contrario di quello che si racconta e cioè che questi metodi creano attori in serie. Se il metodo è uno strumento di lavoro serio, se viene vissuto e reinterpretato con un minimo di intelligenza e sensibilità ti aiuta a creare un percorso originale, a sviluppare le tue potenzialità.

Sono contento che ogni tanto ci si ricordi di rendergli omaggio: ho rintracciato un’intervista fatta in Uruguay da Volontè in cui parla a lungo di quanto è debitore a Costa su come si legge un copione. Il mimetismo di Volontè deve molto al metodo.

Io credo che l’attore abbia come una valigetta di attrezzi, più ne hai più sei pronto a lavorare: questi sono i metodi di lavoro. Non c’è un metodo ci sono strumenti, più ne hai più arrivi preparato. Perchè ogni lavoro necessita di uno strumento diverso. Diffido molto generalmente di chi lavora con un metodo passepartout perchè è molto limitante, un attore deve esplorare tanti territori.

Per Basaglia, per esempio, (nel film C’era una volta la città dei matti, n.d.r) le chiavi d’accesso sono state la voce e lo sguardo. Quando lavoravo sui primi materiali di Basaglia mi colpì lo sguardo. Inizialmente non sapevo quanto questo fosse centrale anche nel suo lavoro poi ho scoperto che il suo sguardo era indissolubilmente legato alla sua capacità straordinaria d’ascolto.

Ricordo di aver pensato che se fossi riuscito a catturare in parte quello sguardo avrei fatto qualcosa di buono. E poi la voce, che raccontava molto del suo territorio, Venezia. Ecco perchè la lingua è importante: non perchè bisogna essere dei virtuosi ma perchè spesso la lingua rappresenta il territorio di appartenenza a quindi il carattere del personaggio e ti aiuta a capirlo in profondità.

Il metodo di Costa è una pratica di lavoro che precede tutti gli altri, è una sorta di ricerca primaria su quelle che sono le potenzialità espressive che ogni essere umano ha. Costa dedicava gran parte del suo lavoro all’infanzia: un attore per tutta la vita deve cercare disperatamente di ritrovare quello stato di grazia che si ha intorno ai 4,5 anni di età, quella libertà che ha completamente dimenticato nel momento in cui sono subentrate le convenzioni della famiglia, della scuola e della società.Un bambino non pensa a quello che deve fare, lo fa con un istinto mimetico.

La Puglia

Personalmente sono molto legato a questa regione perchè i miei nonni paterni sono di qui ed è diventato un po’ il mio luogo di lavoro. Ho riadattato un vecchio magazzino a piccola sala prove e vengo per provare i miei spettacoli.

Termina qui la seconda parte della lezione di cinema di Fabrizio Gifuni. Appuntamento alla prossima settimana con la terza ed ultima parte.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *