Sabato 26 luglio a Roma presso la Casa Internazionale delle Donne, si è tenuta la serata “Corti d’Attrice” organizzata da Elena Tenga (me medesima), in collaborazione con Paola Fazzini, che cura la parte eventi della Casa, e con il sostegno di Action Aid, nelle vesti di Fabiana Costantino.
Corti d’Attrice
Nella serata son stati proiettati 4 cortometraggi: “Osa” di Stefania Rocca, uno spot realizzato in collaborazione con Action Aid, che parla del problema dei matrimoni forzati, “La Grande Menzogna” di Carmen Giardina, che racconta un incontro tra due grandi attrici del cinema mondiale, Anna Magnani e Betty Davis, “Recuiem” di Valentina Carnelutti, che narra della tematica del lutto, e “Un uccello molto serio” di Lorenza Indovina, film in chiave grottesca tratto da una novella di Niccolò Ammaniti sul tradimento.
Alla serata erano presenti Valentina Carnelutti, insieme a Flavio Palazzoli, il bambino protagonista del suo corto, Lydia Biondi, attrice presente anche nel corto di Lorenza Indovina, assente giustificata da una bellissima dichiarazione letta al pubblico dopo il suo corto, e Carmen Giardina presente insieme al suo compagno Pivio, autore delle musiche del corto, recentemente vincitore insieme ad Aldo De Scalzi dei premi David di Donatello, Globo d’Oro e Nastro d’Argento per la colonna sonora del film Song è Napule dei Fratelli Manetti. In questa occasione ho pensato di fare tre domande alle protagoniste della serata, e sono stata piacevolmente sorpresa anche dalla loro disponibilità e dalle loro risposte a domande decisamente non facili.
Ultimamente molte attrici hanno sentito l’esigenza di mettesi dietro la macchina da presa per narrare delle storie. Ci potete raccontare dove nasce la vostra?
Stefania Rocca: L’idea del corto sui matrimoni forzati, in collaborazione con Action Aid, nasce dall’incontro fortuito con Marika, giovane donna che ha “osato” rompere quel muro di violenza e costrizione creato attorno a lei da chi aveva deciso il suo futuro.La mia urgenza era rendere quell’incontro un’immagine indelebile. Per non dimenticare e portare a conoscenza questa problematica e rendere questa, la sua battaglia non più individuale ma collettiva! Con più consapevolezza e meno indifferenza.
Carmen Giardina: Succede. Perché ad un certo punto emerge la voglia di raccontare le “proprie” storie. Gli attori sono interpreti delle parole di altri, in alcuni a volte c’è la tendenza a voler diventare anche autori. Io l’ho capito abbastanza presto, per esempio fin da ragazza scrivevo delle cose che chiudevo in un cassetto e non avevo neanche il coraggio di far leggere a nessuno, poi più avanti ho portato in scena progetti come attrice dove curavo anche la regia. Poi ti innamori di una storia che non ti esce più dalla testa, che vuoi proprio far “vivere” e arriva il momento in cui, in modo più o meno avventuroso, ti trovi dall’altra parte della macchina da presa. Per me è capitato di vincere con una sceneggiatura il Premio Cinecittà Digital e Felice Laudadio con Cinecittà Holding ha prodotto il mio primo corto. Poi ne ho realizzati altri due. Nel frattempo però, ho continuato a fare l’attrice.
Valentina Carenlutti: La mia urgenza non è stata quella di passare dietro alla macchina da presa, mi piace il mio mestiere di attrice, mi piace mettermi nelle mani di un regista e averla addosso la macchina, e intorno. In questo caso però, avevo urgenza di raccontare questa storia, esattamente in questo modo. L’avevo scritta da molti anni e le immaginosi facevano sempre più vivide, dunque mi è sembrato naturale realizzarla io. E’ la ragione per cui oltre a dirigere il film ho prima deciso di produrlo io stessa, per poter controllare che ogni elemento fosse davvero in armonia con il senso più profondo di quel che andavo a raccontare. Ora alla luce di questa esperienza immagino di potermi trovare nuovamente a fare una regia, ma non posso pensarla come una cosa indipendente dal senso, dall’urgenza appunto, di raccontare una storia per me indispensabile.
Lorenza Indovina: In realtà mi è capitato solo due volte. In tutte e due le occasioni erano storie che per diversi motivi mi avevano colpito profondamente. Il mio è quasi sempre un approccio emotivo alla storia. Nel caso di “Un uccello molto serio” trovavo il racconto esilarante e la maniera ironica con cui affrontava il problema la trovavo vincente. Poter ridere di se stessi e dei propri difetti è spesso la migliore strada per superarli. Mi affascinava anche il poter realizzare un film di genere grottesco che in italia praticamente non si vede mai. In fondo cerco di fare le cose che mi piacerebbe vedere al cinema e che non riesco ad esprimere con la sola attività di attrice.
Secondo voi esiste un cinema “d’autrice”?
Stefania Rocca: Beh ! Il cinema d autore per definizione è un cinema che rispecchia la personalità del regista che il più delle volte è anche sceneggiatore. Questo ancora esiste! Non esiste più il cinema indipendente e quando parlo di indipendente non intendo “film a basso costo” ma quel cinema che è libero da qualsiasi “legge di mercato” con completa libertà espressiva. Es. little miss sunshine e Requiem for a dream.
Carmen Giardina: Ho un po’ paura dei “ghetti”. I nuovi film di Rohrwacher e Asia Argento, che mi sono piaciuti, affrontano personaggi femminili, autobiografici, forse questa si potrebbe definire la tendenza del cinema “d’autrice” di questi anni? A me piacerebbe spaziare tra diversi temi e generi. Dopo una commedia grottesca al femminile come La Grande Menzogna, ho girato un corto con tre militari di leva e neanche una donna, che racconta la morte di Aldo Moro e Peppino Impastato, e adesso sto pensando ad un thriller molto cupo. In cosa una storia che non ha al suo centro un personaggio femminile sarà diversa se narrata da una donna o da un uomo? Questa è una bella domanda, ma io non so rispondere! L’interesse di rassegne come questa è la possibilità di scoprire che anche al femminile c’è una pluralità di sguardi.
Valentina Carnelutti: Non mi piace pensare in termini di genere. Se non in maniera estremamente articolata, e dopo aver condiviso delle questioni di base indispensabili per ragionare in maniera fertile. Non è questa la sede per farlo, sento forte il rischio di rimpicciolirci, uomini e donne, di accorpare le peculiarità di ciascun autore, individuo, sotto cappelli che ne nasconderebbero le sfumature, che sono per me quel che più conta. E’ vero che esistono più film di uomini realizzati da uomini, ma quando guardo e godo di un film non mi interrogo sul sesso dell’autore. A volte invece mi interrogo sul perché si parli poco o superficialmente di cose di cui una donna sa. Allora sì, mi auguro che più donne trovino la capacità di scovare il loro desiderio, se ne hanno uno, di raccontare con il cinema. E che possano organizzarsi per farlo! Senza doversi snaturare ‘facendosi uomo’, per arrivare a imporre una narrazione dal femminile…
Lorenza Indovina: Questo è sempre stato un grande dilemma! Il mondo del lavoro, in generale, è più maschile. Ma in linea di massima non mi piace fare distinzioni di sesso. Credo che la diversità sia più nel proprio bagaglio di esperienze di vita, in quel caso forse sarebbe interessante su certi temi vedere di più il punto di vista di una donna. Girando per festival con il mio corto ho incontrato diverse artiste donne e questo mi fa ben sperare su una cinematografia più al femminile.
Qual’è la vostra definizione di Arte?
Stefania Rocca: L’arte, è creazione, abilità innate, mestiere, professione e esperienza. Charles Baudelaire diceva:”l arte è la creazione di una magia suggestiva che accoglie insieme l’oggetto e il soggetto”. E io aggiungerei tutto ciò che è capace di trasmettere emozioni, fuori da ogni logica.
Carmen Giardina: La parola “arte” è qualcosa di troppo alto per me! A meno che non la si usi nell’accezione più “corrente” di mestiere dello spettacolo, come si dice “gli artisti del circo”. Il cinema è stato definito l’arte del XX secolo, ma il cinema è anche industria, tecnologia, intrattenimento. In mano a registi come Fellini o Kubrick diventa arte, influenza le altre arti, diventa immaginario collettivo, sogno condiviso, continua a comunicare con diverse generazioni di spettatori. Insomma ho un concetto molto alto della parola arte in cui rientrano solo i capolavori del cinema. Però posso definirmi “artista” nel senso che dicevo prima, in quanto appartenente alla categoria di chi vive praticando uno o più mestieri dello spettacolo, come gli artisti del circo, appunto!
Valentina Carnelutti: Si dice che sia l’espressione estetica dell’interiorità umana. Che l’oggetto d’arte debba riflettere la posizione e l’etica dell’artista nella società, nella cultura della sua epoca… Mi attengo a questa definizione aggiungendo alla pratica del mio mestiere il rigore, l’amore, il coraggio, la dignità. Penso che l’arte, quel che si dà allo spettatore/pubblico, debba generare qualcosa che lo aiuti, che coltivi il meglio del suo cuore. Penso che non si debbano fare e generare cose che non aiutano. Che nell’arte lo spettatore trovi la possibilità di vedersi, di capire qualcosa di sé, anche solo di un frammento della propria infelicità o dolore o fatica o ignoranza, e che dunque possa essere una persona migliore.
Lorenza Indovina: Qualsiasi forma di attività dell’essere umano come riprova o esaltazione del suo talento inventivo e della sua capacità espressiva.