Recensione: Sofia Coppola ci porta “Somewhere”

Una Ferrari gira in tondo a vuoto. Un minuto di nulla, girato in un luogo qualunque. Si apre così il nuovo film di Sofia Coppola, regista capace di andare a fondo con discrezione, stavolta scavando nel “suo” mondo, quello del cinema. Sì perché “Somewhere” indaga nel vuoto di un attore di Hollywood che vedrà, quasi senza accorgersene, cambiare la sua vita con l’arrivo di sua figlia.

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I personaggi, l’attore Johnny Marco e sua figlia Cleo (interpretati rispettivamente da Stephen Dorff ed Elle Fanning), vagano in quelli che il sociologo Marc Augé ha chiamato, magistralmente, “nonluoghi”, spazi di passaggio, senza connotazione, vuoti per antonomasia. Sofia Coppola indaga infatti nel vuoto della vita di un uomo la cui quotidianità è intrisa di niente: spogliarelliste, alcol, feste, in un loop continuo. Fino all’arrivo di sua figlia.

La ragazzina, appena undicenne, invade delicatamente l’esistenza di quest’uomo che non sa assolutamente come riempire le sue giornate; Cleo irrompe nella vita di Johnny quasi come un raggio di sole filtra da una tenda all’alba: è capace, solo con lo sguardo, di fargli capire come la sua vita sia insulsa, priva di un tragitto; il film ci porta nella (non)esistenza di una star, fatta di hotel anonimi, donne da dimenticare, momenti che non lasciano il segno; percorsi che non lasciano traccia.

Il trailer

Cleo riesce invece, con leggerezza (leggerezza che caratterizza sempre anche lo “sguardo” di Sofia Coppola) a segnare la vita di suo padre: Johnny si accorge di sopravvivere, non di vivere; si rende conto che la sua vita non ha una direzione; non appena Cleo se ne va, suo padre riesce a percepire il vuoto, a sentirlo, e non ne sopporta la pesantezza. Capisce di essere un uomo qualunque, che fa una vita qualunque, in un luogo qualunque. Ci sarà un nuovo giorno.

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