L’ultimo lupo: Sette anni in Mongolia

Arriva nelle sale da domani 26 Marzo in più di 300 copie il nuovo film del regista francese Jean Jaques-Annaud di cui basta ricordare anche solo Il nome della rosa. Dopo sette anni di preparazione e tratto dall’opera letteraria più letta in Cina dopo Il libretto Rosso di Mao Tse Tung, Il totem del lupo di Jiang Rong, arriva al cinema L’ultimo lupo. Anche in 3D.

L'ultimo lupo Annaud

Trama

Siamo in Cina, nel 1967. Durante la Grande Rivoluzione Culturale un giovane studente di città, Chen Zhen (Shaofeng Feng), viene inviata nella steppa della Mongolia Interna per insegnare ai bambini delle tribù nomadi. Qui scopre e rimane affascinato dai lupi che sono nell’obbiettivo delle tribù per essere sterminati. Il giovane ragazzo decide di tenerne uno, crescerlo e studiarlo.

Trailer del film ‘L’ultimo lupo’:

Il ritorno

Partiamo con il dire che le migliori opere del regista francese sono altre. Eppure l’operazione, lungo e tortuosa, produttiva e artistica, dietro L’ultimo lupo va apprezzata ed è facile lasciarsi affascinare dentro un film di formazione, un film che ha l’anima di ricerca interiore di alcune opere di Annaud e la centralità dell’animale di altre sue opere, rimanendo quindi coerente, seppur con largo spazio alla spettacolarità del’immagine che crea spesso un diluirsi del racconto a tratti estenuante, per un’opera che sarebbe potuta durare anche meno.

Intelligente l’utilizzo del 3D che non si concentra su spazi ampi e scene d’insieme ma crea il giusto rilievo e la perfetta profondità proprio sui primi piani dell’animale protagonista, essenza che va tutelata e ammirata con fascino e dedizione.

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Lo sguardo di Chen Zhen

Il nostro sguardo viene a coincidere con quello di Chen Zhen, un giovane studente di città figlio della rivoluzione culturale portata avanti dal comunismo di Mao Tse Tung e che andrà a raccontare la fine del nomadismo mongolo. Intelligente il rapporto tra una società nomade che vive di saggi, racconti e leggende anche nel proprio legame con i lupi e quindi con l’anima delle cose che vivono attorno al loro habitat contro alla razionalità di un giovane di città che vive di evoluzione, scienza e in una civiltà che mira al progresso e al soppiantare ciò che rimane legato ad un passato pregresso e primitivo.

Al contrario, la divisione quasi schematica tra i “buoni” e i “cattivi”, nella concezione di ciò che è giusto e ciò che è facile per amore del progresso risulta meno approfondita ed elaborato da un regista “di cuore” che preferisce approfondire gli aspetti intimi del rapporto uomo/animale, più nel “non raccontato” che in dialoghi banali o ridondanti. L’epicità che vorrebbe raggiungere nell’ultimo terzo di film non arriva al pubblico per una tensione ed un climax che già in precedenza non si riesce a raggiungere per l’estremo diluirsi di scene e situazioni che potevano essere raccontate in un arco di tempo minore e, magari, con una premessa più breve e concisa che approfondisce la realtà storica in maniera troppo analitica dimenticando la storia narrata che arriva solo in un secondo momento.

l'ultimo lupo recensione

Interessante, attorno a tutto questo, la lavorazione de L’ultimo lupo: diretto da un regista francese e prodotto quasi unicamente dalla Cina (China Film, Beijing Forbidden City Film), in cui il testo è rimasto tabù per molto tempo e secondo solo al libretto rosso dello stesso Mao. Le riprese si sono svolte in Mongolia e, dall’ideazione al prodotto finito, sono dovuti passare appunto sette anni. Diversamente da altre opere del regista, questo suo ultimo è stato accolto trionfalmente in Cina, con un milione di spettatori solo nella prima giornata di programmazione.

Clip dal film

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