Terzo film in concorso al Sudestival 2019 questa volta con una doppia recensione dalla Giuria dei Giovani: ZEN sul ghiaccio sottile di Margherita Ferri.
Zen sul Ghiaccio Sottile – l’opinione di Federica
Zen sul ghiaccio sottile, film d’esordio della regista Margherita Ferri, racconta la storia di Maia, una sedicenne inquieta e solitaria, interpretata dalla talentuosa Eleonora Conti, per la prima volta nel ruolo di protagonista. Maia è una promessa dell’hockey su ghiaccio ed è l’unica ragazza nella squadra maschile del paese. Sceglie di farsi chiamare Zen, come una guerriera in continua lotta contro le più disparate forme di bullismo e la prevaricazione in un contesto sociale stretto e chiuso.
La protagonista scava in questa stessa realtà fatta di ghiaccio e barriere, un posto sicuro nel quale ricercare rassicurazioni. Questo riparo viene snaturato però con l’arrivo di Vanessa, fidanzata di un giocatore della squadra, che confusa sceglie di nascondersi nel rifugio della madre di Maia. Tra le due ragazze nasce così un rapporto che le porta ad interrogarsi sulla propria identità e sessualità.
Con le parvenze di una narrazione adolescenziale romanzata e leggera, la storia si rivela in realtà formativa e piena di sfaccettature. Un vero e proprio atto politico e sociale, come dichiara la regista, volto ad analizzare il percorso di formazione di ogni adolescente. Ciò diventa sfondo delle vicende e metafora della vita della protagonista, raccontandone i moti interiori attraverso le immagini dell’acqua nei suoi vari stati.
Un film lontano dai cliché stereotipanti, che racconta la realtà individuali di due persone sul filo dei silenzi, degli sguardi e degli interminabili attimi di disagio che aiutano il pubblico a immedesimarsi nelle protagoniste. Infatti, se da una parte la storia è concentrata sulle domande e sui dubbi di Maia, consapevole di mettersi in discussione, dall’altra viene messo in luce il percorso di Vanessa, del tutto incosciente e renitente a parlare dei propri stati d’animo e della confusione portata dentro.
Così il racconto di Zen dimostra di essere il simbolo, non solo per i giovani, ma soprattutto per i grandi, di una continua ed estenuante lotta contro il genitore e il mondo degli adulti che si attraversa nella disperata ricerca di una definizione di sé liquida e turbata, come semplicemente l’adolescenza può essere.
Federica Romana Fiume, IV A Liceo Classico “Galileo Galilei”, Monopoli
Zen sul Ghiaccio Sottile – l’opinione di Alberto
Maia Zenasi è biologicamente una ragazza. Ma, nel cuore e nell’anima, no, non lo è. Ha una passione per l’hockey, sport tipicamente maschile, ed è l’unica ragazza a far parte della squadra del suo piccolo paese dell’Emilia Romagna. Ed è nel gioco che emerge il vero io di Maia: “Zen”, una ragazza intrappolata in un corpo di ragazzo, alla ricerca “di uno spogliatoio giusto” per sè.
Zen – Sul ghiaccio sottile racconta il percorso di Zen e la sua maturazione come persona “diversa”, la sua emancipazione da un contesto sociale piccolo e claustrofobico impregnato di stereotipi. Un’idea e un obiettivo puntuali e originali, che, tuttavia, all’atto pratico non sempre trovano un riscontro efficiente.
La sceneggiatura viene percepita dallo spettatore come molto fragile, presentando alcune lacune nella trama (chi ha dato a Vanessa le chiavi del lucchetto?) o cose non dette non sempre intuibili (se non fosse stato esplicitamente detto, verso la fine del film, che in realtà Vanessa era scappata di casa, molti avrebbero continuato a pensare che frequentasse il rifugio a suo piacere); alcune sequenze appaiono “dilatate”, inutilmente prolisse; alcuni passaggi troppo “rapidi” (non basta uno scambio di caramelle per dimenticare azioni di bullismo).
L’altro punto critico della pellicola è l’interpretazione degli attori: per quanto il personaggio di Maia/Zen potesse essere apatico nel suo isolamento rispetto al mondo che non lo accetta per come è, la quasi assenza di espressività e mancanza di sincronizzazione tra la recitazione parlata e quella fisica dell’attrice Eleonora Conti non sono giustificate. Forse la freddezza della recitazione e dei dialoghi riproduce metanarrativamente il “ghiaccio sottile” su cui Zen gioca e vive alla ricerca di sé?
Ed inoltre la violenza, verbale e fisica, del personaggio, a volte non giustificata (si comprende la tensione e lo stress ma non c’è mica sempre bisogno di dar pugni al muro!) rischia di riprodurre lo stereotipo della mascolinità come virilità e rabbia aggressiva. Come se l'”essere uomo” debba essere veicolato da atteggiamenti aggressivi e di “attacco” e non si possa essere uomini “con dolcezza”.
Nulla aiuta lo spettatore a comprendere pienamente la “formazione/trasformazione” di Maia, non particolarmente chiara nei suoi contenuti: Zen si sarà reso conto che non ha bisogno dell’approvazione degli altri per essere ciò che è, avendo constatato che anche aprendosi ci sarà una parte del mondo pronto a rifiutarlo, per ripicca o per paura, come ha fatto Vanessa? Lo spero per lui perché io, come penso molti altri, non l’ho capito.
Alberto Ranieri, IV B, Liceo Classico “Simone-Morea”, Conversano