Caniba

#Venezia74: Caniba di Paravel e Castaing-Taylor

#venezia74: Woody Allen lo aveva detto, nell’epilogo del suo Hollywood Ending (2002): lì impersona un regista cieco che gira un film stroncato dagli americano ma a cui vengono tessute le lodi in Europa. Perché gli europei trasformano qualsiasi cosa puramente sperimentale in opera d’arte da studiare. E’ spesso si tratta semplicemente di quello, senza andare a cercare particolari spiegazioni.

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Caniba

Accade esattamente questo durante la proiezione del “film-scandalo” di questa Mostra del Cinema di Venezia: il documentario Caniba di Verena Paravel e Lucien Castaing-Taylor che, dopo l’interessante Leviathan nel 2012 decidono di raccontare di un cannibale, il giapponese Issei Sagawa, diventato un caso mediatico per aver ucciso e divorato la compagna di università nel 1981 a Parigi. Venne arrestato ma dichiarato inabile a sostenere il processo e tornò quindi uomo libero e famoso in Giappone.

Caniba

La regista di Caniba

E quello a cui assistiamo per 90 minuti è una sua intervista: i registi ci fanno capire subito che non sarà gradevole la visione cui assisteremo e decidono di spiegarci l’impossibilità di lettura della mente di quest’uomo attraverso la scelta di mantenere la macchina da presa costantemente fuori fuoco e raccontando ogni cosa inquadrata, tra cui Iseei stesso, solo con dettagli e mai con inquadrature d’insieme.

Ora, per quanto aperti si possa essere a tutto, il problema sta nel fatto che all’impossibilità di darsi una spiegazione al perché un uomo decida di commettere un atto del genere, si dovrebbe accostare anche la voglia di scavare, capire, affascinare, interessare, creare una strada che dentro qui 90 minuti conduca da qualche parte. E’ troppo semplice ‘presentare’ una questione e limitarsi a scandalizzare con la scelta stilistica ‘atipica’ e due-tre immagini particolarmente spinte di quanto accaduto all’epoca. E a quegli pseudo-intellettualoidi che leggono in questo materiale qualcosa che possa avvicinarsi vagamente al cinema, li prego di riflettere su quanto facilmente l’idiozia e la banalità vengano scambiate per qualcosa che semplicemente non è.

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