The Dropout, la miniserie sulla creatrice di Theranos, Elisabeth Holmes, interpretata da Amanda Seyfried, è disponibile su DisneyPlus dal 20 aprile. La serie, ispirata al podcast omonimo, racconta in 8 episodi l’ascesa e la rovinosa caduta dell’enfant prodige della biotecnologia dei primi anni 2000. Nel cast anche Naveen Andrews (il Sayid di Lost), Michel Gill (il presidente Garrett Walker di House of Cards), Mary Lynn Rajskub (la Chloe di 24), Katherine Burton (la mamma di Meredith in Grey’s Anatomy), Dylan Minnette (il Clay di 13 Reasons Why): insomma un gruppo non indifferente di volti noti agli amanti dei tv show di vario genere e tipo.
The Dropout
Elizabeth Anne Holmes (Amanda Seyfried), classe 1984, aveva fin da piccola le idee chiare su cosa volesse diventare nella vita: una milionaria. E per farlo sapeva di dover essere estremamente determinata: mission oriented, come diceva lei. Pronta a tutto e concentrata sulla sua missione: far soldi.
L’inizio è brillante: dopo aver seguito un programma di cinese, grazie al quale incontra il suo futuro partner sentimentale e lavorativo, Sunny Balwani (Naveen Andrews), si iscrive a Stanford, facoltà di ingegneria chimica. Parecchio intelligente, riesce da subito a farsi strada e diventare assistente nel laboratorio di ricerca.
A soli 19 anni, se ne esce con un’idea rivoluzionaria: creare un patch che, grazie ad una sola goccia di sangue, potesse permettere un’analisi dettagliata dei dati medici delle persone. Oltre a rendere meno dolorose le analisi, questo dispositivo le avrebbe rese più economiche e accessibili a tutti.
L’unico problema della sua intuizione era la difficoltà, se non l’impossibilità, della concreta realizzazione del progetto. Che infatti una serie di suoi professori universitari avevano bocciato, ritenendolo irrealizzabile. Ma Elisabeth è caparbia, o testarda che dir si voglia: nel 2004 lascia (in inglese, drop out) Stanford e con i soldi dell’università (in America, non pochi) fonda la sua compagnia. Theranos, appunto.
Uno tra i primi soci è il rettore della facoltà di ingegneria chimica. Grazie al suo supporto, in men che non si dica varie personalità piuttosto eminenti le danno il loro appoggio. A dicembre dello stesso anno (2004), Elisabeth ha già tirato su 6 milioni di dollari. Sei anni più tardi, il capitale della sua società si aggira sui 92 milioni di dollari. L’anno successivo, incontra l’ex-segretario di stato, George Shultz che, dopo un incontro durato due ore, decide di entrare a far parte del suo consiglio di amministrazione.
Una delle qualità che tutti riconoscono a Elisabeth è il carisma e la capacità di convincere. Il suo board è affollato di personalità prestigiose e danarose, e lei viene considerata la Steve Jobs dell’industria biotecnologica. Tra i suoi supporter, figuravano Henri Kissinger, Bill Clinton, Rupert Murdoch, e molti altri.
Ma non basta saper persuadere quando i risultati scarseggiano: nel 2015 un’inchiesta condotta dal giornalista del Wall Street Journal John Carreyrou (Ebon Moss-Bachrach) scoperchia il vaso di Pandora. Il bluff dellaHolmes, incredibilmente riuscita fino a quel punto a non farsi smascherare, viene a galla.
I dati delle analisi fornite dal dispositivo della Theranos sono inaccurati, e inoltre vengono realizzati grazie a tecnologie preesistenti. Quindi non solo non avevano inventato nulla, ma quelle che dovevano essere le analisi facili e alla portata di tutti erano nella maggior parte dei casi, o quantomeno in un alto numero, inattendibili o sbagliate. Con le conseguenze inevitabili: diagnosi non corrette, pazienti che ne pagano, caro, il prezzo.
Holmes negherà all’inverosimile la fondatezza di ogni accusa. E la serie, che inizia da qui, ci fa ripercorrere i passi di questa clamorosa storia di ascesa e caduta, uno degli scandali finanziari più grandi del terzo millennio.
Il format di Dopesick con in più il fascino inquietante dell’interpretazione della Seyfried
Sembra che DisneyPlus – che distribuisce fuori dai confini statunitensi le serie Hulu – si stia specializzando sul format della storia vera, stile vagamente documentario, con tendenza al racconto dello scandalo finanziario-farmaceutico. Dopo Dopesick, anche in questo caso gli ingredienti ci sono tutti: l’inchiesta, in questo caso giornalistica; le testimonianze dei protagonisti prese a posteriori – in questo caso, della protagonista; la storia raccontata a ritroso nel tempo, quando ormai si sa già come andrà a finire, ma non per questo risulta meno importante comprendere come ci si arrivi.
Al tutto si può aggiungere quella capacità, al contempo inverosimile e preoccupante, che hanno gli americani di esagerare pure negli scandali finanziari: compagnie che nel giro di qualche anno raggiungono cifre da capogiro e che, nel giro di pochi mesi, svaniscono come bolle di sapone. Che erano, pur se macroscopiche.
Nel caso di The Dropout, parte della critica e della riflessione che suscita punta il dito alla new-economy. Quel sistema di giovani imprenditori che, grazie ad un’idea brillante, diventano a poco più di 20 anni multimilionari e poi si trovano a dover gestire, completamente impreparati, un patrimonio e degli affari spesso più grandi di loro.
Un mondo spesso dominato da dinosauri col terrore di invecchiare e non sapere cogliere al balzo l’occasione, perché troppo datati per comprenderla. Che si trovano a volte – come sicuramente è stato con Theranos – ad appoggiare e ad investire in progetti che spesso sono più fumo che arrosto, solo per l’ansia di perdere il carro del vincitore.
Un po’ come nella famosa favola dei vestiti nuovi dell’Imperatore: nessuno ha il coraggio di dire che è nudo per paura di essere considerato troppo poco intelligente per riconoscere la preziosità delle stoffe usate per crearne gli abiti.
Se questi elementi non bastassero per incuriosirvi, l’interpretazione di Amanda Seyfried è sufficiente da sola per farlo. In sé e per sé, la Holmes ha una personalità sfuggente e insieme affascinante. E l’attrice, candidata all’Oscar 2021 per Mank, riesce a renderla quasi più disturbante ed enigmatica di quanto non sia nella vera vita.
Fanatica di Jobs fino all’idolatria, la Holmes ne aveva adottato lo stile, anche estetico. Da un certo punto in poi, si vestiva solo di nero, con maglioni a collo alto stile quelli di Issey Miyake che erano diventati la divisa del fondatore di Apple. Spesso unica donna in un mondo di uomini, modificava la sua voce per renderla più grave e sembrare più autorevole. Aveva letto che sbattere gli occhi denotava debolezza, quindi nelle interviste aveva uno sguardo abbacinato, con effetto a dir poco destabilizzante. Insomma, Elisabeth è sicuramente un personaggio, e Amanda Seyfried riesce a renderla credibile e, a tratti, quasi umana. Che, se vedrete di cosa è capace, non è per nulla scontato.
Bilancio finale di The Dropout
Positivo. Una serie interessante per l’argomento, ben fatta, con un cast di attori decisamente all’altezza. Su tutti svetta di qualche misura la protagonista, ma l’intero gruppo offre una notevole prova attoriale. Le otto puntate scorrono veloci. E il dubbio sulla personalità della Holmes – che a tratti condivide la mancanza di empatia e la tendenza alla manipolazione degli psicopatici – rimane. Così come quello sulla solidità di questa new economy che, vista da vicino, pare sempre più una versione pure peggiore della “vecchia”, di economy. Di base, ciò che emerge è che il lupo perde il pelo, ma alla fine lupo resta. A prescindere da come lo si chiami.