Cose Serial – Diamo un’occhiata a ‘The Bridge’

Ispirata alla serie scandinava omonima (BRON, 2011), per i seguaci di FOX CRIME sta andando in onda THE BRIDGE. Vediamo un pò nei dettagli di cosa si tratta.

The Bridge

di GianLorenzo Franzì

Protagonisti Diane Kruger e Demian Bichir, nei panni di un’insolita coppia di detective, il serial si snoda su più piste, al confine fra Stati Uniti e Messico. Nel primo episodio, lungo il confine, sul ponte che collega El PAso e Ciudad Juarez, viene ritrovato un cadavere troncato in due: in realtà, la parte del busto appartiene ad una donna, le gambe ad un’altra. Le indagini sono affidate ad un poliziotto statunitense, Sonia Cross, ed uno messicano, Marco Ruiz, che faranno fatica ad andare d’accordo.

 Una serie…altalenante

Lo spunto di trama è esplosivo, almeno all’inizio: probabilmente è questo il motivo per cui il serial è stato accolto in principio con entusiasmo da pubblico e critica, spingendo la FOX a mandarlo in onda con insolita tempestività per un prodotto di medio profilo (appena due settimane dopo l’esordio in patria, come già era successo con THE WALKING DEAD, terza stagione, e THE FOLLOWING). Il problema, con THE BRIDGE, sorge però andando avanti: addentrandosi nelle spire -fin troppo aggrovigliate- della trama, si ha sempre l’impressione di rimanere un passo indietro. Se in un primo tempo una regia poco pulita e uno stile di narrazione fin troppo asciutto lasciano pensare ad una firma autorale che potrebbe portare l’opera nei territori del cult, in seguito si rivelano sintomi di una confusione narrativa che non giova a niente e nessuno: THE BRIDGE vorrebbe essere freddo e chirurgico, ma diventa asettico; e vorrebbe non assomigliare a nessuno, ma finisce per assomigliare a tutti (soprattutto THE KILLING, altro serial trasposto dalla tv nordeuropea, condito con spruzzi del seminale TWIN PEAKS, e infatti la trama si sarebbe dovuta svolgere tra gli Stati Uniti e il Canada).

Certo, a tratti qualche episodio convince e non sono pochi i passaggi degni di nota, peccato solo che si concentrino tutti nei primi quattro episodi, prima di una pausa estiva inspiegabile e fin troppo lunga. Dal quinto in poi i difetti sono venuti a galla tutti insieme e le inquietudini che attraversavano il serial come un cortocircuito si sono spente, ma soprattutto (cosa gravissima, per un prodotto di genere) il mistero attorno all’assassino si è sollevato, per lo spettatore più attento. Il melting pot è sempre interessante, e un thriller/mistery/horror che si snoda sotto la luce del sole arido del Messico ha sempre un suo indubbio fascino: ma la trama avrebbe dovuto essere più salda e le svolte narrative più serrate.

I protagonisti poco efficaci

Senza contare la resa dei personaggi: la Kruger, già dimenticabile sul grande schermo, si affanna a rendere credibile un personaggio la cui psicologia sembra tagliata con l’accetta in base alle istruzioni di un manuale di sceneggiatura; un po’ meglio Demian Bichir, che però affoga nel mare di un miscasting madornale. Arrivati all’ottavo episodio, completamente svelato il volto dell’assassino, resta il dubbio su cosa riserveranno gli ultimi episodi: considerando che la seconda stagione sarà incentrata su altri casi, e che il plot della prima sarà completamente svolto, incuriosisce vedere come ma soprattutto se sarà tenuta alta una tensione che già langue.

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