Cristóbal Balenciaga, la serie biopic che racconta la vita del celebre stilista spagnolo a partire dalla sua ultima intervista, approda su Disney+ il 19 gennaio. Interpretata da un cast internazionale in cui spiccano Alberto San Juan (il protagonista), Thomas Coumans (Wladzio D’Attainville, suo socio e partner), Anouk Grinberg (Coco Chanel), Patrice Thibaud (Christian Dior), la serie è creata da Lourdes Iglesias e si compone di sei episodi.
Cristóbal Balenciaga
Siamo nel 1971, al funerale di una delle star indiscusse dell’alta moda internazionale, Coco Chanel (Anouk Grinberg). Nelle prime file, tra volti noti e meno noti vestiti a lutto, spicca una signora che sfoggia spavalda un tailleur Balenciaga rosso fuoco.
Difficile non vederla. Anche per qualcuno di norma così schivo e restio all’interazione sociale come il nostro protagonista. Che, probabilmente adulato per la scelta dell’abito indossato, abbassa la guardia di solito parecchio alta e concede alla signora in questione ciò che da tempo agognava: una sua intervista esclusiva. Infine.
Parte così, con un viaggio a ritroso nel tempo nei ricordi di Cristóbal Balenciaga (Alberto San Juan), il racconto della vita del celebre stilista spagnolo. Dagli inizi più che umili come sarto, aiutante della madre, al trasferimento a Parigi all’epoca della Spagna di Franco, alle difficoltà a trovare un suo stile e soprattutto un suo posto in un mondo già all’epoca competitivo, frivolo e spietato.
Si alternano alla memoria del passato momenti nel presente. Delineando, pennellata dopo pennellata, il ritratto di un uomo riservato, perfezionista fino a rasentare l’ossessione, un filo paranoico e con la mania del controllo. Ma, al tempo stesso, modesto, integro, tenero, assolutamente e completamente geniale. Un artista, con le sue inevitabili e umane, tragicamente umane, contraddizioni.
Una serie che restituisce l’alta statura e il favoloso talento di uno dei maestri assoluti dell’haute couture mondiale
Cristóbal Balenciaga racconta la storia di un uomo di altri tempi.
Tempi in cui esisteva ancora l’eleganza e in cui si apprezzava ancora la qualità. In cui si proteggeva la vita privata che doveva, appunto, restare privata e in cui il proprio lavoro era una missione, una passione, forse anche un’ossessione. Ma non esclusivamente e unicamente un modo per fare più soldi. E questo era vero anche per chi, con quel lavoro, ci campava appena, ed era in posizione subordinata: sottomesso ma non messo sotto, perché conscio della dignità del suo mestiere. Che andava di pari passo alla serietà e all’impegno che ci metteva nel farlo.
Cristóbal Balenciaga racconta la storia di un uomo con la mania del dettaglio.
Di qualcuno conscio che la differenza tra un lavoro qualsiasi e uno di qualità è nelle piccole cose. Quelle che sfuggono ad un occhio frettoloso e distratto, ma che vengono percepite comunque, magari inconsapevolmente. Una spalla che scende meglio, una manica che cade a pennello. Un abito che esalta la figura e non la copre semplicemente. Un vestito che diventa un unicum. Un’opera d’arte. Una creazione inimitabile. Non replicabile.
Evitare la replica, la copia senza anima diventa il principale tormento di Balenciaga. Dapprima terrorizzato dall’eventualità che i suoi modelli vengano imitati dagli altri stilisti. In seguito incalzato dalla produzione di massa, dal prêt-à-porter, dalle logiche di un mercato che è sempre più business e sempre meno artistico. Qualitativo. Curato.
La serie ci (ri)dona il gusto dell’eccellenza, del valore aggiunto che l’attenzione (meticolosa) a ciò che si sta realizzando conferisce al risultato finale. In un periodo in cui tanto si parla di I.A., ci riporta a quell’unicità dell’essere umano, che – con passione, con ostinazione, con mania, forse – rende il frutto del suo lavoro irreplicabile e insostituibile.
Certo, a tratti la figura di Balenciaga è discutibile. Se il suo essere artista con il pudore di ammettere, anche a sé stesso, di ritenersi artista può far sorridere o intenerire, il suo non posizionarsi politicamente quando il mondo cade nelle mani dei nazisti fa già meno ridere. Nonostante si comprenda che la sua concezione dell’arte è classica, al di là e al di sopra delle contingenti “miserie umane”. Apolitica per definizione, in quanto attinente ad un altro piano, ad un differente livello. A un diverso pianeta.
Ma Cristóbal è anche questo. Umano, profondamente (e, come già detto, tragicamente) umano. E fa piacere vederlo.
Bilancio finale di Cristóbal Balenciaga
Serie poliglotta, girata in buona parte in spagnolo, con parti in francese e in inglese. Affascinante, non soltanto per gli amanti del fashion system. Ciò che ho maggiormente apprezzato, potendola vedere in anteprima, è stato appunto questo dipinto di uomo di un’altra epoca. La sua compostezza, la sua integrità, la sua cura. Quell’eleganza atemporale che ci fa sospirare e chiederci se questa corsa forsennata alla massificazione e alla quantità non ci abbia fatto perdere qualcosa. O anche molto. Di essenziale.