Per la rubrica I Grandi Maestri del Cinema questa settimana si fa un tuffo all’indietro fino al 1932, anno in cui usciva un film di Camerini che finalmente usciva dalla logica tipicamente fascista, vuoi sapere di cosa si tratta?
La storia del film
di Chiara Ricci
Bruno, un autista, si innamora perdutamente di Mariuccia, giovane commessa in una profumeria di Milano.
Il giovane sin dal primo istante che la vede tenta in ogni modo di attirare su di sé l’attenzione e gli sguardi della ragazza che, però, pare non prenderlo troppo sul serio. Così, decide di prendere l’auto del padrone, all’insaputa del padrone cui aveva riferito esser guasta, per andare a prendere Mariuccia a lavoro e portarla a fare una gita sul Lago Maggiore.
Si fermano a prendere qualcosa da bere e felici e spensierati danzano beati e già innamorati sulle splendide e sognanti note della celeberrima canzone di Cesare Andrea Bixio Parlami d’amore Mariù. Ma i guai non tardano ad arrivare. La moglie del padrone dell’auto, infatti, di ritorno da una gita, riconosce Bruno e l’auto parcheggiata chiedendogli cosa ci faccia in quel luogo invece di essere sul posto di lavoro.
Bruno, imbarazzato, le risponde che è uscito per provare l’auto appena riparata e di corsa torna a Milano lasciando Mariuccia sola all’osteria dicendole che sarebbe tornato quanto prima.
Bruno, purtroppo, durante la folle corsa ha un incidente e non ha modo di avvertire Mariù dell’accaduto. La ragazza, intanto, disperata e senza soldi, si ritrova di sera, sola, in lacrime, all’osteria tanto che non può nemmeno pagare la sua consumazione.
Disperata anche perché non sa come tornare a casa dove l’attende suo padre, un tassista, racconta alla moglie dell’oste quanto le è accaduto, e questa, come una madre, la conforta, la consola e decide di ospitarla per la notte: ad accompagnarla a casa ci penserà suo figlio il mattino seguente.
Bruno dopo l’accaduto viene licenziato in tronco ma non vuole rinunciare a Mariuccia. Si reca, così, alla profumeria dove lavora e la ragazza, arrabbiata perché è convinta che sia stata “sedotta e abbandonata”, lo costringe ad acquistare un costoso profumo come risarcimento – e sana vendetta – del male che le ha fatto.
Passa un po’ di tempo, i due ragazzi non si rivedono. Bruno ha trovato un altro impiego come autista. Ed è proprio nell’auto del nuovo padrone che Bruno ritrova Mariuccia. Bruno non sopporta di vedere la ragazza accanto a un altro uomo così, abbandona l’auto in mezzo alla strada e si licenzia. Mariuccia, così, ha finalmente scoperto che Bruno non è ricco ma è un lavoratore proprio come lei e si accorge di essere veramente innamorata di lui.
Questa volta è Bruno ad avercela con Mariuccia per essersi interessata a lui solo perché lo ha creduto ricco e per interessarsi solo agli uomini benestanti. Ma il loro litigio ha vita breve poiché Mariuccia ha tutta l’intenzione di aiutarlo a trovare un lavoro serio e duraturo, che possa assicurare loro un futuro sicuro.
C’è un ingegnere che ha un interesse verso la ragazza e Mariuccia sfrutta questa condizione a suo favore per far sì che Bruno possa avere un lavoro presso la Fiera Campionaria, dove anche lei lavora in uno stand della profumeria. Bruno tutto contento, senza sapere che a procurargli il lavoro – e in che modo – è stata Mariuccia, accetta il nuovo impiego.
Una sera Mariuccia va con l’ingegnere al parco dei divertimenti della Fiera per ringraziarlo di ciò che ha fatto per Bruno. Dopo la chiusura della Fiera, il ragazzo va a prendere Mariù a lavoro ma non la trova.
Una commessa di uno stand vicino a quello della profumeria, gli dice che Mariù se n’è andata con un altro uomo. Bruno è nuovamente deluso e accetta la compagnia della ragazza che già da tempo ha mostrato di avere un debole per lui. Anche loro vanno al parco dei divertimenti e Mariù quando li vede insieme fugge via piangendo.
Bruno lascia la commessa e rincorre la sua amata che si è rifuggiata in un taxi. I due ragazzi si parlano e ogni malinteso viene finalmente chiarito e Bruno le propone di diventare sua moglie. Ma gli innamorati non sanno che alla guida del taxi c’è il papà di Mariuccia che sente tutto e, ben felice, benedice questa unione.
Analisi del film
Gli uomini, che mascalzoni è un film del 1932 diretto da Mario Camerini che Lizzani ha definito “il grande confessore della piccola borghesia italiana dolcemente addormentata sotto il ventennio”. Mario Camerini attraverso questo film – che viene presentato con il titolo di Taxi al Festival di Venezia del 1932 – apporta delle importanti novità nel panorama cinematografico italiano dell’epoca. L’innovazione più eclatante è quella di effettuare riprese in esterni, senza ricostruire gli ambienti nei freddi teatri di posa.
Quella che vediamo sullo schermo è l’autentica Milano dei primi anni Trenta, nel pieno della sua “rivoluzione” culturale, della sua trasformazione in città del progresso, della pubblicità, del cinema, della tecnologia. Se si fa attenzione, infatti, nel film scorre un susseguirsi infinito di pubblicità di prodotti, di marche alcune delle quali ancor oggi esistenti sul mercato: Phillips, Alemagna, Motta, Coca Cola, Cinzano, la Rinascente e molte altre.
Perchè si può definire un film “futurista”?
In un certo senso Gli uomini, che mascalzoni può essere definito un film “futurista” poiché in esso domina il movimento, la velocità: basti pensare alle corse in automobile che fa Bruno o all’inquadratura finale sulla ruota del taxi del padre di Mariuccia che gira. E’ un film che si proietta verso il progresso, come lo dimostra la Fiera Campionaria e gli strumenti per l’irrigazione che pubblicizza Bruno. Camerini mostra una città, una società – milanese ma anche italiana – che si sta costruendo, che ha tutta l’intenzione di proiettarsi verso il futuro. Il regista, come accade nella prima scena del film, alza letteralmente una serranda, uno sguardo su questa città che si sta modernizzando, che sta crescendo e, a sua volta, su un Paese che sta cercando di progredire quanto più possibile.
La colonna sonora
Alla sua uscita il film ha avuto un enorme successo di critica e di pubblico anche grazie alla canzone Parlami d’amore Mariù, scritta da C. A. Bixio appositamente per il film e cantata da Vittorio De Sica, che ne ha fatto un suo tratto distintivo e divenendo il simbolo di un’epoca.
Il regista si è battuto fortemente per avere questa canzone nel film nonostante le ritrosie di Pittaluga, (allora presidente della romana casa di produzione Cines) tanto da dirgli che oramai la scena del ballo era stata girata e non si poteva tagliare.
Ed è con la stessa veemenza che Camerini si batte per avere nella parte del protagonista un giovanissimo Vittorio De Sica tenendolo a battesimo nel suo debutto cinematografico.
Gli uomini, che mascalzoni è un film davvero singolare per l’epoca in cui è stato girato poiché è tra i primi esempi di cinema che si allontana dalla rappresentazione dell’ideale fascista imposta dal regime e da quel genere filmico detto dei “telefoni bianchi” tanto in voga in quegli anni.
In questo film si racconta di amore, di sentimenti, delle scaramucce di due giovani lavoratori, di due ragazzi come tanti e lo si fa con ironia, con punte di viva comicità, con dolcezza. Si rappresentano i puri sentimenti, le vite di due giovani che si incontrano, si uniscono al di fuori di ogni ideologia, di ogni regime poiché in questi non c’è politica, non c’è pensiero gerarchico che possa controllare.