I toni drammatici dei film di guerra, ricoprono le sorti dei biopic che sanno raccontare quelle storie che hanno sempre un prezzo troppo alto da pagare. Mario Van Peebles, attore e regista dalle spalle forti (ha diretto Panther e interpretato Malcolm X nel biografico Alì) ha saputo raccontare una delle pagine più drammatiche della Marina Militare statunitense. Lo ha fatto tracciando i volti dei suoi protagonisti, a cominciare da Nicolas Cage, aspro e granitico nel delineare il profilo del Capitano Charles Butler McVay, al comando della USS Indianapolis, la corazzata galleggiante con a bordo la bomba atomica destinata alla strage di Hiroshima. Uscito nelle sale americane a ottobre del 2016, USS Indianapolis è nelle sale italiane dal 19 luglio.
USS Indianapolis
Ci sono due elementi fondamentali che pesano sulle sorti di un film di guerra di queste proporzioni. La prima è la capacità registica di dare armonia a quella salsa romanzata che regge la spina dorsale di tutto il film. La seconda, e non meno importante, è la qualità visiva che rende la storia stilisticamente apprezzabile. Il regista Mario Van Peebles ha cercato di mixare i due elementi al meglio delle sue capacità, caratterizzando i toni dei marinai di colore in maniera predominante rispetto al corale cast di un film difficile e monumentale. Lo stesso Nicolas Cage può risultare eccessivamente appesantito dalla stessa immagine del reale McVay, ma le attenzioni della critica e del pubblico non necessitano di quei virtuosismi recitativi impersonali che sprofondano nelle due ore di un film di tale portata. Il risultato può apparire affievolito dai richiami epici che rimandano ai ‘Disaster Movie’ più esorbitanti, vedi il ‘Titanic’ di Cameron come ‘caposcuola’ di un genere. Ma gli effetti speciali non sempre devono pagare il prezzo del riscontro finale, quando il risultato sembra preferire l’aspetto umano di tutta la storia.
Se ‘Pearl Harbor’ di Michael Bay ha saputo coniugare l’aspetto sentimentale impersonale del soggetto con i fatti realmente accaduti, Mario Van Peebles ha cercato di bissare la ricetta nel suo film, regalandoci una storia d’amore che corre lungo il filo di una pellicola che non vuole conoscere passi falsi, almeno nelle intenzioni del regista. Per questo, il triangolo d’amore sorretto da Matt Lanter (ufficiale Brian Smithwick), Adam Scott Miller (Mike D’Antonio) e Emily Tennant (Clara) risulta apprezzabile, anche se il retrogusto della ‘brutta-copia’ può far cadere in tentazioni dagli esiti peggiori. L’inabissamento della nave Indianapolis, dopo il bombardamento di un sottomarino giapponese, è di forte impatto, come la stessa drammaticità riposta nella voracità di quegli squali che hanno massacrato l’equipaggio sopravvissuto in mare. Anche in questo caso scatta proverbiale la meticolosità riposta da Ron Howard nel suo ‘Heart of the Sea’, almeno negli effetti digitali che hanno saputo coordinare meglio le sorti di un film.
La storia, nel suo complesso, non sembra risentire di migliori accorgimenti narrativi. Quando l’onore dei due corpi militari contrapposti regge il messaggio morale che inevitabilmente tocca gli animi ‘a cose fatte’, la drammaticità riposta dal ‘fallimento’ visto nell’affondamento della nave a missione compiuta, solleva le sorti di tutto il film. Quel processo ricaduto sulle spalle del Capitano Charles McVay risuona come il tocco di una campana ‘stonata e vigliacca’ per cercare di ricoprire d’infamia un uomo che ha solo svolto al meglio il suo dovere, ammirato dai suoi ufficiali e difeso dallo stesso comandante del sottomarino nipponico che lo ha bombardato. I volti di quegli ufficiali morti in mare rimangono fotografie ingiallite dallo stesso ricordo che difficilmente può dimenticare. Come la stessa mano di un McVay che si arrende all’ingiustizia subita da una corte marziale che cerca invano di risollevare le sorti di un esercito americano vincitore e assolutista.
Trecentodiciassette uomini sopravvissuti a quel disastro, salvati per ironia della stessa sorte da un ordine non eseguito. Tutto questo per diventare la storia raccontata da una cronaca che cerca di rimediare agli sbagli che la stessa umanità sembra perdonare. Non importa se quella storia, fatta di uomini d’onore con le proprie imperfezioni, può conoscere il peso di una pietà che facilmente compatisce le sorti degli avvenimenti. Mario Van Peebles è riuscito a farci riflettere nel profondo di noi stessi. Amaramente, come la storia dell’USS Indianapolis.