Bree (Felicity Huffmann) è un transessuale che desidera ardentemente un operazione definitiva. La sua vita cambierà dopo aver scoperto di essere padre di un figlio adolescente, avuto con una donna. La psicoterapeuta spinge Bree a confrontarsi con il figlio e con un passato davvero doloroso, pena la mancata autorizzazione per l’intervento definitivo.
Tornare indietro per poter andare avanti. La solitudine di Bree la condurrà in un viaggio indirizzato all’accettazione del suo stato fisico seguito dall’intervento definitivo, negando le affermazioni dei dottori, imbalsamati sull’idea che il suo sia un caso di “disforia di genere” riconosciuta come malattia mentale .
Il figlio inizierà a sperimentare una vita dissoluta e promiscua, i genitori di Bree non accetteranno la sua decisione di cambiare sesso e Bree sarà una donna insoddisfatta. Universi inconciliabili e un padre che non è più padre ma madre, il figlio continuerà a dominare i suoi impulsi tradendo la fiducia della madre, ormai affezionata al ragazzo. La situazione precipita cadendo nel paradossale: Toby si prostituisce ed inizia a girare film porno per omosessuali. Il finale prevedibile non ci lascia insoddisfatti.
Critica
Il film funziona. Il film emoziona. Il film cattura. Solleva i nostri sguardi attoniti e indifferenti nei confronti di un tema particolarmente delicato, ci racconta verità inaccettabili per bigotti di paese, ci alleggerisce il tono della nostra vita apparentemente insoddisfacente.
Una incompatibilità esistenziale che si traduce in un percorso evolutivo elaborato e conclusivo che consente anche allo spettatore più bigotto di provare tenerezza per la condizione in cui vivono milioni di persone. Anima femminile per un corpo maschile in un risultato eccezionale interpretato da Felicity Huffman, la Lynette di Desperate Housewives vincitrice del Golden Globe.
Tolleranza e compassione in un film dai risvolti drammatici ma dalla trama cruda e a volte eccesiva. Diciamo che è un film dalla lacrima facile. Nonostante gli eccessi il film funziona e raggiunge gli obiettivi che si prefissa il regista Duncan Tucker. Ma non è una storia strappalacrime che vuole speculare sulla condizione drammatica dei transessuali, perché alla fine del film, lei è come se fosse una di noi. Insomma un dramma esistenziale volto all’eliminazione dei pregiudizi biechi di coloro che non sanno, di coloro che vivono di valutazioni negative a prescindere dalla situazione. Voto 8.