E’ arrivato nelle nostre sale The Hateful Eight, l’ottavo film di Quentin Tarantino
Fin dagli albori della sua filmografia, il nostro caro Quentin Tarantino si è spesso divertito a creare personaggi cattivi che ci restano simpatici e per cui tifiamo o di cui ne compatiamo le azioni negative. Basti pensare, per dare un’idea, a Pulp Fiction, dove Vincent e Jules sono dei criminali, certo, ma Tarantino li rappresenta come dei simpaticoni che ridono e scherzano, e il pubblico se ne accorge, e così se li fa restare simpatici, benché il regista mostri anche, come già tutti sanno, le loro azioni da criminali. Oppure pensiamo a Django Unchained: il nostro protagonista è infatti semplicemente uno che, diventato cacciatore di taglie, per ritrovare la moglie ucciderà tanta gente, talvolta anche quella che non dovrebbe uccidere, e la frase del personaggio di Samuel L. Jackson nel finale (<<Un pistolero negro non può passare sotto gli occhi del mondo, ti ritroveranno, muso nero!>>) è molto significativa, ma al pubblico questo interessa poco, perché, nonostante tutto, compatisce le azioni di Django.
Ma un altro punto molto interessante dei film di Tarantino è il mondo che il regista crea attorno ai suoi personaggi. Un mondo violento, senza apparenti regole (vi ricordate Kill Bill?), che lui utilizza per descrivere ciò che è, dal suo punto di vista, il cosmo in cui viviamo (in particolare la sua America). A questo proposito c’è una bella frase di Tarantino che dice così: <<Il mondo che ci circonda è disgustoso e sordido. Io non cerco di imbellettarlo come fa il 99% delle pellicole hollywoodiane.>>.
Adesso però, eccoci al vero motivo per cui probabilmente siete qui: parlare di The Hateful Eight.
The Hateful Eight
Wyoming, pochi anni dopo la fine della guerra di secessione. Il cacciatore di taglie John Ruth (Kurt Russell), detto “Il boia”, viaggia su una diligenza assieme alla sua prigioniera Daisy Domergue (Jennifer Jason Leigh). Ad un certo punto la diligenza viene fermata dal Maggiore Marquis Warren (Samuel L. Jackson), il cui cavallo non è riuscito a portarlo a destinazione. I due si conoscono già, così Ruth lo fa salire. Sulla strada la carrozza incontra Chris Mannix (Walton Goggins), che dice di essere il nuovo sceriffo di Red Rock, città in cui John Ruth porterà Daisy alla forca. Avendo notato già da un po’ una forte tempesta di neve, la diligenza decide di fermarsi presso l’emporio di Minnie, in cui vengono accolti da quattro sconosciuti: Bob (Demian Bichir), Oswaldo Mobray (Tim Roth), che dice di essere il boia di Red Rock – senza cui l’esecuzione della Domergue non potrà avvenire – Joe Gage (Michael Madsen) e il generale della Confederazione Sanford Smithers (Bruce Dern). Ma queste otto persone, sapranno dire la verità quando gli sarà formulata qualche domanda?
La Meraviglia della Parola
Vi ricordate quando all’inizio della recensione il sottoscritto ha parlato dei temi che, secondo lui, sono molto cari a Tarantino? Bene, proviamo ad avvicinarli a The Hateful Eight. Se in molti suoi film si provava empatia per alcuni personaggi, in questo caso non è così. I protagonisti sono tutti cattivi e fanno tutti schifo, nessuno si salva. Tarantino ce la mette tutta per far provare allo spettatore quella sensazione di ribrezzo ogni volta che guarda quei personaggi (riuscendoci, tra l’altro). Ci saranno solo due fotogrammi al massimo in cui si prova empatia per i personaggi.
Anche per quanto riguarda il messaggio, Quentin raggiunge dei livelli altissimi. E c’è sempre la critica, attraverso la violenza e l’exploitation, al mondo che ci circonda (un mondo sporco, popolato da maiali), in particolare all’America di ieri e di oggi, con una riflessione sul rapporto che c’è tra criminalità e giustizia, che molto spesso sono la stessa cosa. È un’America sadica e divisa in due (in questo caso tra nordisti e sudisti) e il regista con il suo film mette l’America e il mondo stesso in una baita. Baita nella quale accadrà di tutto e di più, perché l’emporio di Minnie, secondo QT, è il nostro mondo.
È un film politico, probabilmente il più politico del regista statunitense, ma allo spettatore non pesa il fatto che la pellicola sia in questo modo, il film poi, non è mai ruffiano e non difende niente e nessuno, nemmeno nel finale.
Ma “La meraviglia della parola” messa nel titolo di questo paragrafo dove sta? Calma! Adesso ci arriviamo. Partiamo innanzitutto da un’importante dote che Tarantino ha: mettere insieme diversi generi in una sola pellicola. Se Kill Bill era un mix di spaghetti western, film wuxia e film di samurai, The Hateful Eight è invece all’inizio la partenza di un film western apparentemente normale, ma questo film western non arriverà mai, in quanto appena si ritrovano tutti nell’emporio, la pellicola diventa pian piano un giallo ad enigma (violentissimo – a cui si uniscono poi dramma, thriller, horror e umorismo nero). Ma perché lo scrivente vi dice questo? Perché è proprio nel momento in cui il genere giallo viene fuori che “La meraviglia della parola” prende vita. In che senso? In particolare nel momento “giallo” del film, Tarantino scrive dei dialoghi perfetti, che hanno il compito di confondere lo spettatore, in quanto i protagonisti non fanno altro che dire cose che chi guarda la pellicola non capisce se sono verità o bugie, e in questo modo rimane concentrato sulla visione dell’opera e non si annoia. Questa è “La meraviglia della parola”, riuscire a creare tensione, divertimento e attenzione attraverso i discorsi, che a loro volta creano situazioni al limite del concepibile (e se vedrete il film capirete il perché) di cui il pubblico gode appieno.
The Hateful Eight ha infatti dalla sua anche un altro aspetto molto importante: tenere sulle spine lo spettatore per tutta la sua enorme durata. Tutto ciò grazie ad un ottima narrazione, sia per parole (già detto) che per immagini; e parlando proprio di immagini, quindi di regia, è interessante spiegare che The Hateful Eight vive principalmente di sceneggiatura (già detto), ma ciò non significa che la sceneggiatura ingabbi la regia. Tarantino infatti sa come creare tensione, far ridere, magari far anche piangere attraverso la regia (il modo di posizionare i corpi vivi o morti, la direzione fantastica di tutti gli attori, l’espediente del rallenty – utilizzato diverse volte nella parte finale – oppure semplicemente il modo di posizionare la macchina da presa). E non dimentichiamoci che Tarantino gira per 2/3 in una baita, e la regia teatrale che utilizza lo aiuta moltissimo.
Con questo film il regista crea un’opera dal linguaggio semplice, da blockbuster, ma l’enorme lunghezza del film, la sua lentezza, i temi trattati e il modo in cui essi sono rappresentati non fanno pensare assolutamente a un’opera fatta solo per incassare, bensì a qualcosa di molto autoriale. Tarantino realizza quindi un film che è un interessante connubio tra il puro intrattenimento e la riflessione sociale, sempre però per un pubblico alto, e mai per un pubblico basso, che per film di puro intrattenimento si aspetta American Pie.
Come la maggior parte dei film di QT, non mancano gli sbalzi temporali e le citazioni. E a proposito di citazioni, The Hateful Eight si può definire un Le Iene in chiave western (Tarantino dixit) con rimandi alle pellicole di Sergio Leone (da segnalare un piano leoniano sugli occhi di Bruce Dern e l’utilizzo di alcuni movimenti di macchina che il regista italiano ha usato nei suoi film, che ovviamente non saranno svelati in modo tale da spoilerare il meno possibile), a Carrie – Lo sguardo di Satana, Django Unchained, La cosa e probabilmente molti altri film, ma una sola visione (o anche due) non bastano per ricordare la miriade di citazioni che il regista fa in ogni sua opera.
Conclusioni
Comunque, per farla breve, questo nuovo film di Tarantino è qualcosa di straordinario, non adatto a tutti, sicuramente (chi non entra nel meccanismo di sicuro si addormenta), ma straordinario anche per questo, perché da sempre Quentin crea film per cui bisogna “entrare nel meccanismo”, e The Hateful Eight è semplicemente il consolidamento di un percorso praticamente senza intoppi di un autore, che da più di vent’anni si porta dietro il suo pubblico. Un gioco al massacro da vedere assolutamente, se amate Tarantino.
VOTO: 9/1o
P.S. Non pensavate mica che il sottoscritto si sarebbe dimenticato di parlare della colonna sonora del maestro Morricone! Che dire, meravigliosa. Crea tensione dall’inizio alla fine e Tarantino la inserisce sempre bene nella narrazione, utilizzandola come se fosse anch’essa uno dei protagonisti.