“Voi siete Dei, siete tutti figli dell’altissimo. Eppure cadrete come ogni uomo, cadrete come i potenti” (Bibbia, Salmo 81). Xavier Beauvois, con Des hommes et des Dieux porta sul grande schermo la religione, nel suo significato più universale, più umano. Lo fa raccontando una storia drammatica con delicatezza e rispetto.
In Italia la pellicola, premiata a Cannes con il Gran Premio della Giuria, s’intitola “Uomini di Dio“; la traduzione probabilmente non è il seguito di una profonda riflessione, tutt’altro: in questo film emerge la pluralità, non si fa leva su un unico credo. Lo spettatore viene portato dentro gli animi di chi vive la propria religiosità senza confini, accogliendo e amando il prossimo, senza differenze.
Beauvois porta sul grande schermo la strage di sette monaci cistercensi di Thibirine sullo sfondo della guerra civile in Algeria nel 1996; ancora oggi non è stata fatta completa luce sulla vicenda: all’inizio l’eccidio fu rivendicato dalla Al-Jama’ah al-Islamiyah al-Musallaha, il gruppo armato che mirava a rovesciare il governo, ma fonti francesi hanno sempre ritenuto plausibile l’ipotesi che i religiosi siano stati trucidati da reparti dell’esercito algerino, nel quadro di una strategia della tensione o di un “errore”.
I monaci del Monastero dell’Atlante erano un vero punto di riferimento per il vicino villaggio: completamente integrati con la popolazione musulmana e al servizio della comunità, trascorrevano le loro giornate interamente immersi nella natura, nel territorio, aiutando chi ne avesse bisogno.
Di fronte allo scorrere delle immagini, e della vicenda, ragioniamo su cosa significa credere in un Dio, su cosa significa essere religiosi, su cosa vuol dire mettere la propria vita al servizio del prossimo, mossi da una vocazione; vocazione che sembra vacillare di fronte alle crudeltà della vita, ma che allo stesso tempo riporta sui giusti binari, spinge al pensiero; è solo dopo matura riflessione che si decide di continuare a camminare verso un’unica direzione. Si decide di andare avanti, di incontrare l’altro, l’apparentemente diverso, e di morire.
Ci troviamo di fronte a una visione critica della spiritualità. Perché si tratta più di spiritualità che di Dio nel nel film di Beauvois; spiritualità che porta a fare delle scelte solo apparentemente incoscienti, spiritualità che porta ad essere pluralisti. Spiritualità che porta anche a morire, a morire per incontrare l’altro, in un paradosso etico. Immensamente morale. Ma qui si parla non di finta moralità, bensì di qualcosa di ben più elevato: si parla di connubio, di unione, di andare con l’altro, anche se diverso, uguale e fratello, anche nella morte, anche se ci porta al martirio.
A morire è l’umanità, e allora la morte assume un carattere sacro. Torna l’ultima cena (la scena dei monaci riuniti attorno al tavolo con la colonna sonora della Morte del Cigno, tratta da Il lago dei Cigni di Cajkovskij, è davvero toccante) e tutto si fa unico: i monaci, il monastero, il villaggio, i soldati. Tutto si unisce, in un finale tragico quanto straordinario.
Sono d’accordo con la bella recensione.
Ho visto il film ieri sera e sto ancora cercando di decifrarlo. Film lento e ricco di paesaggi, anche umani.
Film ricco di umanità, secondo me più un ritratto dell’umanità che della spiritualità, anche se chiaramente è il ritratto di una umanità nella quale la dimensione spirituale è fondamentale (sia per i monaci che per gli abitanti del villaggio e anche se violenta per i terroristi)
Film bellissimo per le musiche, le voci (non si riesce a mollare la sala fino a che non finisce l’ultimo canto), con memorabili citazioni (quella di Blaise Pascale ricordata da Frère Luc è monumentale), ferisce e tiene in sospeso anche lo spettatore, come i monaci, dalla scena dell’eccidio dei croati fino all’ultima cena. Questo lo rende forse un po’ indigesto, perchè lo spettatore vive sul filo, come i monaci, sospeso tra una vita bucolica, feconda di Amore, Fraternità e Carità, e il sopraggiungere improviso della Morte Violenta. I “rumorosi” cambi di scena (fortissimo quello del trattore) ci spaventano e ci tengono continuamente sul “chi vive”.
Riuscitissimi i ritratti dei monaci che esprimono ognuno a modo loro diversi tratti dell’essere umano, fedele all’ideale e fragile allo stesso tempo.
Stupenda l’ultima cena e i ritratti dei fratelli uniti a mensa.