Io, Dio e Bin Laden - locandina

Io, Dio e Bin Laden: dal regista di Borat, la commedia con Nicolas Cage ispirata a una storia vera

Esce il 25 luglio in Italia, Io, Dio e Bin Laden, per la regia di Larry James, noto per aver diretto Borat, Brüno e Il Dittatore, tutti e tre con Sacha Baron Cohen. In questo caso invece la star principale è un istrionico Nicolas Cage, affiancato dal poliedrico Russell Brand (l’ex-marito di Kate Perry, per gli amanti del gossip) e da Wendi McLendon-Covey (Le amiche della sposa). Ispirato alla storia vera (!) di tal Gary Faulkner.

Io, Dio e Bin Laden - locandina

Io, Dio e Bin Laden – locandina

Io, Dio e Bin Laden

Gary Faulkner (Nicolas Cage), un bizzarro tuttofare disoccupato di mezz’età, ha un serio problema al rene che lo costringe a sottoporsi regolarmente alla dialisi. Durante una di queste sedute – probabilmente per effetto di un’allucinazione – inizia a vedere dappertutto Dio con le fattezze di Russell Brand, che lo incita ad andare in missione per lui in Pakistan a scovare Bin Laden.

Senza battere ciglio, poiché la chiamata gli arriva dall’alto, Gary fa diventare della cattura di Bin Laden (da lui rinominato, amicalmente, Binny Boy) la sua unica ragione di vita. Il primo grande ostacolo da superare sono i soldi per permettersi il viaggio fino al Pakistan. Essendo disoccupato, il primo pensiero è: coinvolgere gli amici del cuore e tentare la fortuna al casinò. La puntata si risolve in una rissa con un gruppo di messicani, causata da battute che sfiorano nemmeno troppo velatamente il razzismo da parte dell’Uomo chiamato da Dio – dipinto come il classico americano che potrebbe sostenere la necessità per la sua patria di essere “Great Again” e candidarsi vittoriosamente alla presidenza.

Urge allora il tentativo #2: Gary opta per impietosire il dottore (Matthew Modine) da cui si reca per fare la dialisi, e chiedere a lui qualche migliaia di dollari che gli servono per il viaggio. Presumibilmente grazie a un pesante aiuto divino, in modo completamente inatteso il chirurgo si rivela un gran romantico e quando il suo paziente gli dice che con quei soldi vorrebbe regalare un anello di fidanzamento alla sua compagna, mette mano senza indugio al libretto degli assegni.

La presenza della compagna, in effetti, non è completamente una sua invenzione, per quanto possa apparire improbabile e un altro regalo del Cielo: durante una delle sue spedizioni alla ricerca di materiale per il suo folle progetto, Gary si è imbattuto in una compagna del liceo, Marci Mitchell (Wendi McLendon-Covey) da sempre segretamente innamorata di lui. Al punto da incominciare una storia con Faulkner, pur se l’uomo non le nasconde di essere stato incaricato da Dio per compiere ciò che le truppe americane, la CIA, il governo e i servizi segreti del mondo intero non riescono ancora a fare: catturare ed eliminare il capo di Al Qaeda.

Essendo una persona stramba ma tenace, Gary escogita una serie di piani uno più irrealizzabile dell’altro per recarsi in Pakistan: dall’arrivarci in barca dalla California al portarsi un deltaplano disassemblato nel bagaglio del suo volo per Israele, per poi ri-assemblarlo una volta atterrato e da lì librarsi come un novello Icaro alla volta della sua Terra Promessa, dove si nasconde l’odiato Binny Boy. I risultati sono ovviamente catastrofici, anche se alla fine gli riuscirà di ottenere il visto necessario per prendere l’aereo fino al Pakistan e trascorrere in quel luogo più di un mese, facendosi amicizia tra i locali e inimicizie tra gli agenti CIA lì dislocati.

Nei vari andata-e-ritorno dai suoi maldestri tentativi, trova sempre ad aspettarlo la vera e unica santa della situazione, Marci, che riesce anche a coinvolgere la stampa per far conoscere l’impresa del suo “eroe” al grande pubblico, dimostrando una fede e un amore che hanno realmente del miracoloso.

Una storia strampalata che non riesce a decollare

Gli elementi surreali erano già tutti presenti nella storia vera: un Don Chisciotte moderno che parte con mezzi di fortuna per compiere la sua Grande Impresa e salvare il mondo intero dallo sfascio – e dal suo principale fautore, il demonizzato Osama Bin Laden.

Purtroppo non riesce questa volta a Larry James il miracolo (per restare in tema di chiamate divine) ottenuto con Borat, di trasformare il veramente-trash in oggetto di culto, dimostrando che forse a fare la differenza era la presenza (e la scrittura) di Sacha Baron Cohen.

In questo caso, infatti, il film non è in grado di acquisire una chiara cifra stilistica, tra una voce narrante che prende chiaramente le distanze, scherzando vagamente il protagonista; un protagonista che oscilla tra il far pena e l’irritare; un Dio che pare sotto effetto di anfetamina e che, anche se le sue sono alcune delle battute migliori del film, le pronuncia talmente senza cambiare espressione da parere il pupazzo di un ventriloquo non inquadrato. E infine una donna martire delle circostanze, che pare l’unico momento di realismo del tutto – contribuendo a confondere ulteriormente le idee, poiché, appunto, apporta realismo in un insieme completamente sopra le righe, e non si capisce perché, a che scopo.

Io, Dio e Bin Laden non riesce ad essere un film comico, non riesce a essere surrealistico, non riesce a farci vivere dalla parte del protagonista l’entusiasmo della sua avventura. Oltre a probabili difetti strutturali a livello di sceneggiatura, incidono però notevolmente nel disastro finale le interpretazioni degli attori, non si sa fino a che punto dovute alle richieste della regia o alla loro incapacità di aderire ad una parte non ben delineata dal punto di vista della scrittura.

IO DIo e Bin LAden - Nicolas Cage

Io, Dio e Bin Laden – Nicolas Cage

Purtroppo le due performance peggiori sono quelle dei due protagonisti, Nicolas Cage e Russell Brand. Il primo, esagera, creando una macchietta che non convince del personaggio di Gary Faulkner: esalta un accento del sud (che, tra l’altro, il vero Gary non ha particolarmente marcato), enfatizza i suoi movimenti scoordinati, sgrana gli occhi come un folle stralunato quasi prendesse le distanze lui stesso dalla pazzia di colui che sta interpretando. La sua recitazione iper-caricata potrebbe forse aver funzionato per uno sketch di qualche minuto al Saturday Night Live, ma per tutta la durata del film affatica e, sinceramente, è a tratti quasi imbarazzante.

Russell Brand, dal canto suo, realizza la non facilissima impresa di vomitare un numero infinitamente alto di parole senza praticamente muovere un muscolo facciale – non è dato di sapere se per sua scelta, per scelta del regista o per inabilità a far differentemente. L’effetto è alquanto straniante: ciò che dice sarebbe anche divertente, se non si fosse distratti dalla velocità con cui lo pronuncia e dalla fissità del suo sguardo mentre lo sta facendo.

Io DIo e Bin Laden - Russell Brand

Io, Dio e Bin Laden – Russell Brand/DIo

La più brava, ma completamente limitata dal ruolo microscopico e assolutamente di contorno, resta Wendi McLendon-Covey: che però non può – per esigenze di copione – andare al di là del commentare col viso le assurdità del suo partner, a volte calcando la mano un po’ anche lei, poiché è chiaro che indicazioni in questo senso siano state date dal regista.

L’epilogo, tristissimo, in cui si evince la reale follia di Gary, suona come un’ulteriore nota stridente, poiché giustapposta ad un contesto che è passato in scioltezza dalla presa in giro comica, al demenziale, alla satira, senza mai acquisire una propria identità.

Io Dio Bin Laden Wendi McLendon-Covey

Io, Dio e Bin Laden – Wendi McLendon-Covey

Bilancio finale di Io, Dio e Bin Laden

Che non fosse particolarmente riuscito, deve essersene accorta anche la produzione fin da subito: non a caso è stato scelto di farlo uscire in pochi cinema statunitensi e poi, quasi subito, come video on demand. Strana la decisione di immetterlo a due anni di distanza sul mercato europeo, forse dovuta alla scarsità di nuove uscite estive?

In ogni caso, piuttosto perdibile. Mal scritto e non egregiamente recitato, ma neanche talmente pessimo da poter diventare un cult al contrario, come è stato per il film di cui parla la storia di The disaster Artist, The Room, e concorrere al titolo di peggior opera cinematografica, che è pur sempre un risultato.

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