“Hunger”: una ferita sullo stomaco…

La pellicola racconta dello sciopero “dello sporco” e della fame messo in atto nel 1981 dai prigionieri dell’IRA, guidati da Bobby Sands, nella prigione di Long Kesh. Ci troviamo nell’Irlanda del Nord.

di Flaminia Padua

Un Silenzio che parla

locandina ufficiale del film Hunger

locandina ufficiale del film Hunger

Il film è, insieme, un grandangolo e una lente d’ingrandimento. Ci fa vedere, sempre in silenzio, la guardia e il prigioniero e poi, più avanti, un “suicida” ed un prete. Ci da, quindi, la possibilità di scegliere, senza cadere nella pericolosa trappola del Bene vs Male. E’ un film maturo, girato da un regista maturo. Indirizzato a persone mature.

L’80%, o forse anche di più, del film è Silenzio. Silenzio con la S maiuscola: quel silenzio che non solo parla, ma che urla. Quel silenzio, nascosto a volte dietro qualche parola, da un chiacchiericcio di fondo, dallo scorrere dell’acqua, da gemiti e sospiri, che ci permette di entrare dentro il film. Di respirare il grigio della prigione, la tensione prima dei manganelli. La rabbia e il coraggio dei detenuti, la normalità delle guardie carcerarie. La puzza del cibo ammassato in un angolo. Mai la sporcizia sembrò più nobile.

Più di qualcuno potrà definire questo un film lento e non a torto, ma consiglierei una riflessione al proposito: i libri migliori che avete letto, quelli in cui siete a tutti gli effetti “entrati dentro”, non sono forse quelli in cui la porta vi è stata mostrata piano piano, passo per passo, dettaglio per dettaglio? Ecco, questo film come quei libri, vi da il tempo di “vedere” la soglia, di superarla e di essere finalmente parte di ciò che prima stavate solo leggendo/vedendo. Senza fretta, vi ingloba, vi abbraccia e vi porta con lui, ci da la possibilità di impallidire, di vivere nell’attesa infinita e muta di una briciola di rispetto.

Ci studia e si fa studiare, zitto, per un po’ e poi vi schiaffa su una sedia ad arbitrare una “valanga di parole” in cui proprio non sai per chi parteggiare: al centro del film, infatti, abbiamo un dialogo serratissimo ed intelligentissimo di 22 minuti. Un pesante scontro nel quale il pubblico, ormai attore, non sa da quale lato sedersi.

Steve McQueen ci riempie di allegorica bellezza, inquadrando i quadri “sporchi” dei detenuti, una mosca tra le grate, la zuppa rovesciata che scivola fuori dalle porte, una gamba nervosa, degli occhi stanchi, una bocca “rossa”, un’orchestra di manganellate, l’umanità dei “cattivi”. E ancora, delle nocche insanguinate, il sospiro di dolore, un cadavere sul grembo di una madre spenta.

E non è finita qui.

Ci si può uccidere per un’idea?

Il regista ci chiama e ci mostra come ci si può uccidere per un’idea. In quale maniera, cruda e crudele, si può lottare. E fare più male che con un manganello. In sala io ho sofferto e visto soffrire il pubblico con e per un Fassbender dilaniato, scheletrico e strepitoso. Un attore formidabile, bisogna dirlo. Affiancato da immagini formidabili. Attore e regista ci fanno entrare nella mente e persino nello stomaco di Bobby Sands: ci fanno provare quella sensazione fastidiosa ed insieme liberatoria delle “farfalle”, qui non farfalle, nella pancia. La sensazione della fame e, insieme, la sensazione di un’impresa.

Attenti, quindi: questo film non è “intrattenimento”. Questo film è Cinema e scuola. Non uscirete dalla sala divertiti, ma appesantiti. Pieni di pensieri e con un buco nello stomaco. Ma, decisamente, più ricchi.

Mc Queen ci ha invitato al corteo di una nuova, sconvolgente, via Crucis, con più di un Cristo e con più di un Ponzio Pilato. E con una, crudele, sacra sindone finale.

Ma, per fortuna, poi si vola.

Video – Le interviste ai protagonisti e una clip dal film

Ecco, di seguito le video interviste al regista Steve Mc Queen ed al protagonista Michael Fassbender e poi due clip dal film

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