Uno dei film in concorso al Sudestival 2014 e proiettato lo scorso venerdì è Il seminarista di Gabriele Cecconi. Nell’articolo la recensione del film da parte di un partecipante alla giuria dei giovani e l’intervista al regista.
Il seminarista
recensione di Rosangela Giannuzzi (IVB classico)
Ciak. Un seminario. Un cancello. Un occhio che guarda oltre. Un uomo. Le meravigliose note di Chopin in sottofondo. E poi un lungo flashback, suggellato dall’inusuale ma suggestivo utilizzo del bianco e nero. Un bambino di dieci anni, Guido, varca quello stesso cancello. E’ ansioso e tranquillo insieme. Sa che quella è la sua strada ma è timoroso perché è tutto nuovo per lui. La sua scelta di vita non è facile e avrà modo di sperimentarlo sulla sua pelle. Siamo nel 1959, Italia, Toscana.
Guido viene accolto dal padre spirituale, dal suo prefetto e fa amicizia con i suoi futuri compagni di vita: Sandro Giuliani, un bambino molto buono affetto da una grave malattia al cuore, e Pugliese, un ragazzo povero, orfano di padre e ribelle che vede nel sacerdozio l’unica possibilità di sopravvivenza. L’intero film è punteggiato da efficaci citazioni che hanno il merito di rendere il film ancora più credibile come per esempio La dolce vita di Fellini, La magnifica preda con Marilyn Monroe, la canzone Piove di Domenico Modugno e il personaggio di Don Milani, molto contestato dalla Chiesa di quegli anni.
Guido cresce tra le regole, la nostalgia di casa, le preghiere, le amicizie e le prime scoperte del l’adolescenza, fino a maturare un rapporto critico con la Chiesa retriva dell’epoca ed a mettere in discussione la sua vocazione. Tutto questo fa de Il Seminarista un bel film di formazione in cui si distingue il personaggio di Guido interpretato nella fanciullezza da Filippo Massellucci e nell’adolescenza da Andrea Pelagalli. La necessità di seguire la vocazione del cuore. E’ questo il messaggio che il film sembra trasmettere. Il film finisce. E si ritorna ai colori , al presente, a quell’uomo prima sconosciuto. Dopo 105 minuti ogni spettatore sa chi sia.
L’originalità di questa pellicola è il tema che tratta. La vita di un seminarista non è solitamente oggetto di film. Gli anni 60 sono raccontati in diversi film, ma solo nella prospettiva dell’uomo comune, non dell’uomo di Chiesa. Affrontando, quindi, un argomento inusuale, Gabriele Cecconi cattura l’attenzione dello spettatore rendendolo attento e curioso. Non ti fa annoiare, ma sorridere e indignare al contempo, insomma, fa riflettere. E quando finisce non te ne accorgi nemmeno, preso come sei dalla efficacia della sceneggiatura, dalla storia, dalle emozioni che suscita, dalle riflessioni che fa nascere.
E ti chiedi: è già finito ? Così? E ti rispondi con: Non poteva finire meglio. E lo vorresti rivedere daccapo.
Le domande al regista
Ciao Gabriele, benvenuto su cinemio. Dopo tante esperienze (oltre cento corti e mediometraggi, fiction e documentari) approdi al lungometraggio. Come mai? Cosa ti ha spinto ad affrontare il tuo primo lungometraggio?
Io fino ad ora avevo sempre lavorato su commissione per il Ministero della Pubblica Istruzione, l’Università di Firenze, la Regione Toscana, Enti locali e singole scuole. È naturale che, dopo un così lungo tirocinio, desiderassi mettermi alla prova con un prodotto totalmente mio; volevo saggiare la mia capacità di raccontare una storia scritta e diretta da me, senza nessun committente esterno. Il seminarista ha vinto nel 2011 il contributo per lo sviluppo dal Fondo Cinema della Regione Toscana (in giuria anche Paolo Mereghetti), il che mi ha permesso di perfezionarla ancora con l’aiuto di Ugo Chiti. Nel 2012 lo stesso Fondo Cinema della Regione Toscana ha finanziato le riprese del film nella categoria delle opere prime. A questo punto, anche se il finanziamento era modesto, ho rotto gli indugi e mi sono buttato.
De Il seminarista sei autore di soggetto e sceneggiatura oltre che regista. Da dov’è nata questa idea così originale e poco vista al cinema?
L’idea è nata dalla consapevolezza che quella che era stata una mia esperienza personale (sono stato in seminario dai dieci ai quindici anni) fosse anche una storia interessante da raccontare agli altri, proprio perché, come hai detto tu, è una storia originale e mai rappresentata al cinema. Io ho sempre diffidato dei romanzi e dei film autobiografici, perché spesso risultano interessanti solo per l’autore e molto meno per il pubblico. Per scongiurare questo possibile rischio ho limitato i ricordi personali e mi sono aperto a quelli di tanti amici che avevano condiviso con me quell’esperienza. Poi, ed è questa l’operazione più stimolante, ho organizzato questi contenuti in una forma narrativa.
La verità dei fatti è importante per un documentario, ma non è sufficiente per un film di finzione. La verità dei fatti è per sua natura disordinata, caotica, senza regole, è per questo che va organizzata in un racconto, che invece ha un ordine e delle regole precise: Omero e Aristotele insegnano. Insomma per ricreare il senso profondo di una storia bisogna un po’ tradirla. Quindi i fatti raccontati nel film traggono spunto da vicende realmente accadute, ma poi sono stati trasfigurati in un’opera di fantasia, verosimile più che vera, come direbbe Manzoni.
Protagonista del film è il giovane attore Filippo Massellucci. Come lo hai scelto e, data la giovane età, come hai lavorato con lui per la costruzione del personaggio e per fargli comprendere la delicatezza della storia?
Non è stato semplice, anche perché, nel caso del protagonista Guido, dovevo trovare tre attori che lo interpretassero a 10, a 16 e a 50 anni e che in qualche modo dovevano assomigliarsi. Ho trovato Filippo e gli altri seminaristi andando a cercarli nelle scuole medie e superiori della città, nei laboratori teatrali, confidando nella disponibilità degli insegnanti e dei genitori. Ho fatto con loro molti incontri per approfondire le storie e i personaggi, perché nessuno di loro aveva idea di come potesse vivere un bambino in un seminario di 50 anni fa, anche perché da molti anni i seminari minori non ci sono più.
Allora ho pensato di puntare sugli aspetti simili che ci sono in ogni racconto di formazione. Le tappe della crescita degli adolescenti di oggi coincidono, nella loro sostanza profonda, con quelle di ieri e di sempre: l’incontro-scontro con il mondo degli adulti, la faticosa individuazione della propria strada, il desiderio di trasgressione, le curiosità sessuali, l’innamoramento, l’affermazione della propria libertà spesso in conflitto con le istituzioni e le gerarchie che pretendono invece rispetto, ordine, disciplina, obbedienza. Devo dire che li ho trovati molto interessati e, benché fossero tutti alla loro prima esperienza cinematografica, sono stati bravissimi.
Termina qui la prima parte dell’intervista a Gabriele Cecconi. Appuntamento a domani per la seconda parte nella quale potremo anche leggere l’intervista all’attore Paolo Sassanelli, autore del cortometraggio Ammore, proiettato prima della pellicola.
Brava Rosangela Giannuzzi! te lo dice non tanto lo sceneggiatore e regista del film, quanto il prof. di italiano che ha apprezzato molto la chiarezza e la lucidità della recensione.
gabriele cecconi
Grazie mille signor cecconi! Grazie per le sue parole, non mi sarei mai aspettata un onore del genere!
Rosangela Giannuzzi