Sette giorni del regista svizzero, di origini italiane, Rolando Colla esce finalmente sul grande schermo, a due anni dalla sua realizzazione. Il tema del film è sulla voglia di ritornare a sentirsi vivi, a cui l’ambientazione molto decadente dell’isola fa da contrasto. Due solitudini, Ivan (Bruno Todeschini) e Chiara (Alessia Barela, ritrovano il senso dell’amore a cui avevano quasi rinunciato, con tutte le problematiche della loro vita lasciate al di la del mare.
Sette giorni: il regista Rolando Colla
Rolando Colla il regista di Sette giorni
Rolando Colla è un regista ed autore molto affermato in Svizzera, che nasce come documentarista per poi approdare al suo primo lungometraggio nel 2007 con L’altra metà. Ha voluto per l’interprete femminile Alessia Barela, con la quale aveva già lavorato nell’opera precedente Giochi d’Estate e che ha coinvolto nel momento dei provini per scegliere l’attore per il ruolo di Ivan. Ha subito intuito che tra lei e Bruno Todeschini c’era quell’intesa che era giusta per i due personaggi, essendo entrambi due personalità molto istintive. Per trovare la giusta location, ha girato molto, finché non è approdato sull’isola di Levanzo, dove ha trovato la giusta atmosfera.
Sette giorni: i protagonisti
Ivan e Chiara dovranno rimanere sull’isola per preparare il matrimonio di Richard (Marc Barbè), il fratello di Ivan, e Francesca (Linda Olansky), la migliore amica di Chiara. Questo li costringerà a passare la maggior parte del tempo insieme. Il film da ampio spazio alla fotografia, al rumore del mare, al vento, ai silenzi, facendo divenire l’isola un assoluto protagonista della storia, che influenza soprattutto la vita dei suoi abitanti, avendo davvero poco da offrire loro, e dando quella sensazione di essere totalmente distaccati dalla modernità della vita, recuperando la dimensione umana dell’uomo e dei suoi reali bisogni.
Ed anche una grande metafora, con le sua case diroccate, che sembrano rispecchiare la profonda crisi che pervade soprattutto Ivan, un uomo molto provato dalla fine di una storia, con un matrimonio andato in frantumi e che non si aspetta più nulla dalla vita. Bruno Todeschini ed Alessia Barela ci restituiscono un interpretazione molto realistica ed intensa, dando vita a due personaggi molto complessi Soprattutto ci sorprende la recitazione molto naturale in lingua francese della Barela, che confessa di avere avuto come coach Todeschini, e che aveva una conoscenza del francese solo a livello scolastico. Si è anche ribadito durante la conferenza, la difficoltà nei film italiani di descrivere ruoli femminili così belli ed intensi.
Il regista da anche un approccio molto documentaristico, lavorando in parte con i suoi abitanti, utilizzando attori non professionisti, restituendo anche la tradizione dei canti originali dell’isola, soprattutto per le scene del matrimonio.
Sette giorni uscirà nelle sale dal 25 agosto 2017 distribuito da Lo scrittoio.
Sette giorni: intervista ad Alessia Barela
Abbiamo incontrato l’attrice protagonista Alessia Barela per un’intervista
Sette giorni è stato girato 2 anni fa. Secondo te questa problematica sul ritardo della distribuzione è legato al tipo di tematiche forti che affronta Rolando Colla?
Alessia: Penso che per i film d’autore, soprattutto francesi e svizzeri, avere una distribuzione nelle sale in Italia sia molto difficile. Questo film è andato molto bene in molti paesi europei. In Svizzera è rimasto in sala molte settimane. Credo che all’estero hanno sicuramente meno problemi ad offrire al pubblico un certo tipo di cinema.Giochi D’estate ha avuto una distribuzione quasi clandestina in Italia, ed è uscito solo al Nuovo Cinema Aquila a Roma e non credo che gli addetti ai lavori se lo possano ricordare, nonostante abbia preso una candidatura come miglior film straniero agli Oscar.
In questo film tu interpreti Chiara, una donna con un passato molto complesso. Come hai lavorato sul personaggio?
Alessia: Rolando ha un metodo di lavoro molto meticoloso. Fa molte prove prima di arrivare sul set, al punto che se cambi una frase aggiungendo la congiunzione “e” lui subito la scrive in sceneggiatura. Questo tipo di preparazione ti ricongiunge al desiderio di fare questo mestiere, che è quella di riuscire ad avere un esperienza attraverso i personaggi che interpreti. Lui ti porta ad avere quasi una specie di immedesimazione. Abbiamo fatto settimane di prove in teatro, in cui ci ha fatto vivere tutto quello che avveniva prima. Noi vediamo Ivan e Chiara da un certo punto della loro vita, ma durante le prove abbiamo ricostruito l’incontro con il marito Stefano, interpretato da Gianfelice Imparato, il passato da tossica, improvvisando momenti in cui non riuscivo nemmeno a prendere in braccio mia figlia per via delle crisi d’astinenza. Questo tipo di lavoro fa si che si instaurino dei rapporti con gli altri attori che tu prima non conoscevi, e ti rendi conto durante il lavoro in che direzione il regista vuole condurti.
Rolando aggiunge molto all’inizio, dandoti anche molta libertà di improvvisazione, per poi arrivare sul set con la sceneggiatura definitiva, in cui non si può più cambiare nulla. Ha anche un approccio molto documentaristico, cerca di restituire la verità sullo schermo, ed anche per questo lavora spesso con attori non professionisti, come in questo caso che ha coinvolto i pescatori dell’isola. Ma poi ha anche bisogno di lavorare con professionisti per i ruoli principali, perché è talmente esigente che non riuscirebbe ad ottenere lo stesso risultato. Alla fine ti porta ad avere un recitazione istintiva.
Qual’è stato il tuo rapporto con l’isola?
Alessia: Per me è stato abbastanza difficile. L’isola di Levanzo è molto piccola. Siamo rimasti 12 settimane per le riprese. Quando sono arrivata ancora non faceva molto caldo ed ho dormito ospite a casa di pescatori, perché è un luogo dove non ci sono ne alberghi ne negozi, e mi sono sentita “isolata” veramente. Credo di avere avuto il così detto “mal d’isola”. Mi guardavo intorno e non vedevo confini, aprivo la finestra e vedevo questo un orizzonte sconfinato davanti a me. Avevo la sensazione di sentirmi in trappola e con un senso di claustrofobia. Ho dovuto fare un lavoro su me stessa, da cui non mi sono potuta sottrarre, perché è stato un lasso di tempo molto lungo, ritrovandomi in una situazione dove non hai alcun tipo di distrazione ed il tempo scorre molto più lentamente, dandoti molto tempo per pensare al percorso che hai fatto, a quanti pilastrini sei riuscita a piantare, ed anche a quante dipendenze abbiamo creato come i cellulari, la televisione, gli svaghi, lo shopping. Tutto questo sparisce e metti ogni cosa in discussione. Sei costretto a farti delle domande esistenziali. Ti fermi e ti spogli di tutto. Il momento di abbandonare l’isola è stato traumatico, non volevo più andarmene, e quando sono tornata a Roma ero abbastanza alienata, scioccata dai rumori, e mi sentivo quasi una disadattata. Al di la del film, per me questa è stata una delle esperienze più importanti della mia vita.
Bonjour
Je voudrais savoir le titre du poêle de Neruda dans le film.
Cordialement