Continuiamo la nostra intervista a Carlo Michele Schirinzi, regista leccese vincitore, per il suo ultimo cortometraggio Mammaliturchi!, della Menzione speciale della giuria all’ultima edizione del Torino Film Festival.
Carlo, quali sono i riconoscimenti più importanti che hai ricevuto?
Sono molto contento che dopo la vittoria della scorsa edizione con Notturno Stenopeico, anche quest’anno il Torino Film Festival abbia voluto fregiarci di una menzione speciale. Nel 2009 Sonderbehandlung è stato il miglior cortometraggio al Festival del Cinema Europeo e nel 2004 All’erta! ha vinto il primo premio alla Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro, mentre nel 2003 Il nido prese una menzione speciale sempre al Torino Film Festival.
Quello di Torino è uno dei pochissimi festival italiani coraggiosi, ha una selezione variegata, spesso fuori dalle leggi del mercato cinetelevisivo. In questa edizione ho visto due capolavori molto diversi tra loro: nella sezione Onde Mesa sto dados di Angelos Frantzis, e fuori concorso in Italiana.Doc, Frammenti di altra quotidianità, realizzato da ragazzi del Monzambico in un laboratorio promosso dalla onlus Basilicata/Monzambico.
In cosa consiste la tua ricerca?
Cerco di scorticare la pelle e lasciar trasudare le forme cariche di dramma secolare evitando il racconto del testo. Lavoro sulla cancellazione e sulla chiusura delle palpebre come diritto di critica verso la globalizzazione iconografica che tutto omologa, penso a Carmelo Bene quando parlava di salvezza degli occhi e quando affermava che bisogna operare sul morire in scena e non sulla morte.
Il contemporaneo non può essere raccontato perché è inafferrabile, scorre velocemente lasciandoci in balìa delle onde, è una continua e difficilissima battaglia che bisogna combattere ad armi pari: c’è urgente bisogno d’un linguaggio appropriato, un linguaggio incendiario che non dia scampo all’apatia dello spettatore…bisogna costantemente scuoterlo per strapparlo dal cordone ombelicale che lo lega alla poltrona perché il rischio di atrofizzazione è molto alto.
Ed ora due domande a Stefano Urkuma De Santis, autore della colonna sonora del film.
Stefano, come hai conosciuto Carlo Michele Schirinzi?
Non me lo ricordo più esattamente. Credo durante un mio concerto nella nostra terra natale. Io amavo e amo il suo lavoro, ed essendo il Salento una specie di isola riuscita male, giocoforza ci siamo incontrati, vista anche la forte tensione iconoclasta che ci muove.
Come è avvenuta la gestazione della colonna sonora?
E’ avvenuta in tre parti. Nella prima ho suonato e registrato gli strumenti acusticamente, la maggior parte di essi sono costruiti da me, c’è solo una chitarra che viene usata per rendere un effetto di sonica embolia. Il resto degli strumenti sono a fiato e oggetti assemblati: tubi di pvc con profilattici, legno, lamiere, molle, pezzi di macchine dismesse ed un forcipe chirurgico.
Nella seconda parte ho preparato l’amalgama di queste registrazioni, come se fosse un canovaccio pronto ad essere appesantito o asciugato. Nella terza ed ultima parte ho lavorato sulle frequenze, esaltandole e rendendole fissamente risonanti. Ho lasciato spoglio tal quale era solo il suono del forcipe, che doveva brillare anche nella sua simbolicità, che è legata al tempo, alla sua scansione e alle sue continue fratture\ferite procurate.
Il risultato finale, almeno nella mia intenzione, era quello di inchiodare corporeamente lo spettatore\scrutatore, un invito alla discesa verticale che parte dal cullante sciabordio acquoso e finisce nella disperata sospensione sensoriale.
Ringrazio Carlo Michele Schirinzi e Stefano Urkuma De Santis per la loro disponibilità facendo loro un grosso in bocca al lupo per i loro progetti futuri.