Pratomagno: oscure visioni e belle amicizie tra live action ed animazione

Per la rubrica dei registi emergenti abbiamo intervistato gli autori del documentario Pratomagno, codiretto da Paolo Martino (autore di “Terra di Transito”) e Gianfranco Bonadies e presentato il anteprima al festival Visioni dal mondo. Il film sarà sarà proiettato il 9 ottobre al PerSo – Perugia Social Film Festival.

Pratomagno
Pratomagno

Pratomagno

di Francesca Barile

Dorsale nell’Appennino intorno ad Arezzo, Pratomagno è un luogo ideale scelto dai registi Paolo Martino e Gianfranco Bonadies quasi simbolicamente. Immersi nella natura i protagonisti vivono con semplicità grazie all’allevamento di capre e mucche che sono accompagnate al pascolo ogni giorno tra ruscelli e alberi.

L’amicizia tenera e sincera come solo un bambino può dare tra il piccolo Alberto, biondo come il piccolo principe immaginato da Antoine de Saint Exupery e il giovane ghanese Sulayman è un altro punto della narrazione.

Pratomagno
Una scena del film Pratomagno

La visione apparentemente idilliaca di un mondo fuori da ogni bruttura è interrotta dagli spezzoni che rappresentano un futuro distopico. Il viaggio di Alberto ormai di mezza età che torna in un Pratomagno stravolto da eterna pioggia, presagio dello sconvolgimento climatico che già oggi dà i primi e disperati richiami di aiuto.

Presente e futuro, bene e male distinti tra scene in azione dal vivo e animazione. Una scelta chiara che a primo acchito spiazza ma poi è accettata e condivisa dallo spettatore. Un racconto fluido con un imperativo categorico, la salvaguardia dell’ambiente per una rinascita.

Pratomagno
Una scena del film Pratomagno


Le domande ai registi Paolo Martino e Gianfranco Bonadies

Innanzitutto ci raccontate la genesi del documentario? Quali idee, quali esigenze, vi hanno portato a decidere di girare Pratomagno?

Paolo Martino (co-regista, co-scrittore e documentarista): Durante i primi sopralluoghi sul Pratomagno ci siamo imbattuti in una vicenda che più delle altre rappresentava una singolarità: una amicizia insolita, soprattutto per ragioni anagrafiche, tra un bambino nato e cresciuto in quei luoghi e un pastore venuto da molto lontano. Istintivamente ho cominciato a seguirne l’avvicendarsi, come richiamato da qualcosa di ancestrale, una forma di identificazione o un desiderio di prossimità.

Quando ho scoperto che il pastore sarebbe presto partito e che l’amicizia avrebbe potuto avere una interruzione, ho pensato che ci fossero tutte le basi per costruire il racconto. L’immagine più forte è in realtà quella di un pomeriggio di inizio estate, scena poi effettivamente entrata nel film, in cui ho visto per la prima volta i due fare il bagno nel torrente Ciuffenna, tra massi ciclopici levigati dall’acqua e una vegetazione tropicale. In quel momento ho creduto realmente nella bellezza fragile e immediata che avevo davanti agli occhi, è stato come sentire l’urgenza di una chiamata.

Gianfranco Bonadies (co-regista, co-scrittore e animatore): Nelle prime indagini e nei primi sopralluoghi, girando in lungo e largo per la montagna, parlando e osservando abitanti e ambienti, quello che più chiamava la nostra attenzione era una sorta di entità, di energia, di stato di coscienza che univa tutti gli elementi del territorio, accomunandoli e dando loro delle sfumature di uno stesso colore, non per il fatto di essere semplicemente lì, nello stesso posto, ma più per una sorta di eredità e di coscienza di un trapasso di memorie, che va dall’arte delle pratiche contadine alla magica energia di alcuni posti nel bosco.

Abitanti, animali, alberi e fantasmi testimoni di un luogo, del cambiamento di questo in relazione al passare del tempo e una certa paura che tutto possa finire. Penso alla scomparsa di alcuni animali, allo spopolamento dei villaggi e al cambiamento del territorio, come l’impiantamento degli abeti che non sono originari della montagna. Cercando una porta fra passato e futuro, al trapasso di identità e di conservazione del territorio e di farne parte e cercando un qualcosa che contenesse tutto questo e avesse un riflesso sul mondo fuori dalla montagna non abbiamo avuto troppi dubbi nel seguire i protagonisti di questa storia, Sule e Alberto.

Paolo Martino
Il regista Paolo Martino

La scelta di Pratomagno ha una motivazione simbolica o è dettata da esigenze di natura più tecnica? Perché la scelta di utilizzare due forme diverse di linguaggio cioè animazione e live action?

Tommaso Orbi (produttore, co-scrittore e montatore): Il Pratomagno è la nostra montagna. Si innalza sulla valle dell’Arno come un monolite, una presenza che veglia e ci protegge, densa di bellezza e di mistero. Queste sono forse le due parole alla base della nostra esigenza creativa e narrativa. A cui accostiamo la parola infanzia.

Il ricordo di noi da piccoli che guardavamo il Pratomagno sentendo appunto bellezza e mistero, desiderando di andarci per giocare, scoprire, smarrirci e sentire una lieve, pungente e dolce paura. Personalmente sono alcuni anni che filmo per mio conto storie, momenti, angoli, tradizioni di questa montagna, spinto dall’istinto di conoscere filmando. Una sorta di walkabout filmico.

A un certo punto ho pensato fosse importante costruire su questo luogo un progetto di documentario narrativo. Ecco che è arrivata l’opportunità di un bando SIAE, che ci ha permesso di mettere in atto questa idea e di portare in un progetto strutturato e condiviso questi sentimenti.

Abbiamo pensato che per dare forza al mondo immaginifico del Pratomagno, permettendogli di esprimere liberamente la sua potenza, non bastasse l’immagine documentaria, il live action, ma fosse opportuna una contaminazione tra questo e l’animazione, utilizzata in questo caso come “linguaggio dell’altrove”, un altrove che è anche introspezione.
Il documentario avrebbe dovuto cogliere e valorizzare la consistenza del reale, non cedendo a uno sguardo “realistico”, l’animazione poteva volare dentro il mistero e la fantasia portando con sé la responsabilità e la ruvidezza di questo stesso reale.

Sapevamo che i due linguaggi, calati in una dialettica narrativa e poetica fluida e incessante, avrebbero raggiunto la tensione semantica ed emotiva necessaria per dare espressione ai sentimenti e alle visioni che hanno animato questo progetto fin dall’inizio.

Gianfranco Bonadeis
Il regista Gianfranco Bonadeis

Nel documentario presente e futuro si alternano fino talvolta a sovrapporsi. Perché?

Paolo Martino: Il procedere del film non segue necessariamente un senso cronologico, anche se alcuni elementi lo suggeriscono. L’idea di base è che una minaccia costante, tale in quanto radicata nel presente e nel passato, e non solo perché paventata nel futuro, si sta abbattendo su tutti noi. A lungo insieme ai coautori Gianfranco e Tommaso, abbiamo ragionato attorno al concetto di “occasione persa”.

La realtà che abbiamo avuto sotto gli occhi per mesi, prima e durante le riprese, la delicata unione tra uomo e montagna, l’affetto che si genera e cresce tra lunghi silenzi e grandi pascoli, l’avvicendarsi di sole e pioggia, il lento ingiallire dell’erba nei mesi estivi: tutto questo ci è parso in pericolo, ancor di più dal momento in cui non si tratta di una utopia ma di vite vere, materiali, quotidiane.

Le animazioni ci hanno permesso di accelerare il processo di degradazione che il nostro mondo rischia di avere, sia quello esteriore che quello emotivo, se a esistenze come quelle dei protagonisti di Pratomagno non verrà concesso di perdurare. Loro sono un monito, una fonte di salvezza, un battesimo al quale ognuno di noi dovrebbe sottoporsi.

Gianfranco Bonadies: Perché quello che è percepito come presente dallo spettatore è il passato dell’animazione, le immagini si presentano e si susseguono come dei ricordi che scorrono nella mente di Alberto animato.

Il passato e il presente si sovrappongono alla stessa maniera in cui nella realtà un ricordo preciso evocato in un istante preciso coincide temporalmente con il presente in cui una persona lo sta ricordando.

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