Dopo l’ultimo successo del film Mine Vaganti, Ferzan Ozpetek torna nelle sale cinematografiche italiane con la Magnifica presenza di Elio Germano. Ecco una doppia recensione in anteprima per gli amici di cinemio.
Magnifica presenza
di Jessica Di Paolo
Pietro (Elio Germano) è nato a Catania, ha 28 anni e sogna di diventare un attore. Decide di trasferirsi a Roma insieme alla cugina Maria (Paola Minaccioni) per realizzare il suo sogno. Tra un provino e l’altro, Pietro Pontechiavello ribattezzato Pietro Ponte, sforna cornetti in una pasticceria.
Solitario, introverso e gay in un modo tutto suo, compra un appartamento d’epoca nella zona Romana Monteverdi per staccarsi definitivamente dalle attenzioni morbose della cugina. Il loro rapporto è strano, un misto di amore e odio, due caratteri completamente diversi che si fanno compagnia nella reciproca solitudine.
Nonostante Maria venga descritta come una donna estroversa, con una vita sentimentale piuttosto piena, alla fine rimarrà sola e incinta alla ricerca di un “portone” da sfondare. Pietro si innamora del misterioso fascino dell’appartamento d’epoca e senza alcuna esitazione decide di comprarlo. Poco dopo, però, si pentirà della scelta. Non sembra essere l’unico abitante della casa.
Una compagnia di attori, (la compagnia Apollonio) elegantissimi e perfettamente truccati compaiono improvvisamente nell’appartamento, all’inizio solo di notte, successivamente anche di giorno.
Finzione o realtà? Questa la parola d’ordine della compagnia teatrale che è anche, alla fine, la parola chiave del film. Il corso del film porta lo spettatore più volte a chiedersi se quello che vede Pietro, ciò che sta vivendo, sia solo frutto della sua fantasia oppure se realmente esistono questi fantasmi personaggi.
Il film si basa tutto su questo gioco realtà e finzione, vedo e non vedo. E qual è il posto più adatto per metterlo in scena? Ovviamente il teatro, il luogo della maschera e della finzione per eccellenza. Le tematiche del film sono già state affrontate da Ozpetek nei precedenti, ma questa volta c’è l’aggiunta dell’elemento “ghost” che è una novità per il regista turco.
Il gay protagonista c’è sempre. Questa volta, però, non deve combattere contro la società per veder riconosciuto il suo orientamento sessuale come Andrea Renzi nelle Fate ignoranti e non deve nemmeno nascondere la propria identità alla famiglia per paura di far prendere un infarto al padre (Mine Vaganti).
Il tema è lo stesso, ma è affrontato in modo molto diverso. Pietro è solitario, pazzo, crea storie d’amore che esistono solo nella sua testa e nel momento in cui si trova faccia a faccia con la realtà “si mette a piangere” proprio come un bambino. Potrebbe essere proprio questa solitudine, questo bisogno d’amore che lo porta a vedere le magnifiche presenze che possano in qualche modo fargli compagnia.
O ancora il modo in cui Ozpetek descrive i transessuali è decisamente originale, così come l’incontro notturno tra Pietro e un altro trans picchiato da un gruppo di teppisti per la sua diversità. L’elemento gastronomico è sempre presente e fondamentale: Pietro fa i cornetti, Davide, l’ebreo protagonista nel film la finestra di fronte, fa il pasticcere. Dolci, tavole imbandite, la pasta appena sfornata sono sempre in primo piano.
Come in Cuore Sacro ancora una volta la vita del protagonista viene stravolta dall’arrivo di un personaggio misterioso ( in questo caso dall’arrivo di Livia Morosini interpretata da Anna Proclemer ) che renderà più chiaro a Pietro, ma anche allo spettatore, la storia della misteriosa compagnia di attori. Grandissima interpretazione di Elio Germano. Lo stesso Ozpetek afferma di “essersi innamorato di Elio, è proprio lui la magnifica presenza del film”.
Allo stesso modo gli attori tra cui Beppe Fiorello, Margherita Buy, Vittoria Puccini elogiano il regista e il suo magnifico e amorevole rapporto che riesce ad instaurare con la troupe “coccolandoli e prendendosi cura di loro”.
Consigliato: decisamente sì.
Una curiosità: il titolo del film doveva essere originariamente Magnifiche Presenze in riferimento alla meravigliosa compagnia di attori. Successivamente è diventato Magnifica Presenza in onore del protagonista della vicenda.
Magnifica Presenza: Pirandello torna al Valle
di Rosa Santoro
Un timido e insicuro ventottenne, sensibile ed emozionante, con in tasca il sogno di fare l’attore e poi tutto il mondo intorno che pare non ascoltare, non dare nessun peso ai suoi desideri. Così Ozpetek ci racconta di Pietro (Elio Germano) che dalla Sicilia si trasferisce a Roma e nella sua nuova casa da single, un appartamento d’epoca trovato anche per porre termine alla convivenza forzata con la sua stravagante e disperata cugina (Paola Minaccioni), si trova invece a condividere gli spazi, e non solo, con delle eccentriche presenze: la Compagnia di attori Apollonio.
Avviene così, un po’ magicamente, l’incontro tra questi due mondi, in un gioco di specchi tra realtà e finzione, tra un aspirante attore e degli attori d’altri tempi che per recitare si truccano, con eleganza si muovono e provano il loro spettacolo di danza, musica e gesti in un improbabile salone d’epoca.
Inizialmente terrorizzato, Pietro proverà a sbarazzarsi di questi strani inquilini, che vede e sente solo lui, ma poi grazie a quella gentilezza di cui gli sconosciuti sono capaci, inizierà a interagirvi fino a fidarsi di loro. Tra giochi con figurine del Rinascimento, baratti tra conchiglie e cioccolate, consigli sull’amore e su come affrontare un provino, Pietro pian piano capisce che restare così come si è, senza indossare alcuna maschera e prendendo per mano il piccolo Ivan (Matteo Savino), è l’unico modo per affrontare il mondo e il presente.
Tanti i riferimenti e le citazioni dal cinema al teatro, tra tutte quella di Greta Garbo, portata come esempio di Attrice per eccellenza da Lea Marni (Margherita Buy), e quella a Luigi Pirandello, in particolare a “Sei personaggi in cerca d’autore”, di cui la Compagnia Apollonio sembra essere chiaro omaggio.
Un film che esplicita l’amore del regista per gli attori, avvicinandoci con tenerezza e originalità a chi dedica la propria vita all’arte fino anche a subirne delle estreme conseguenze, che fa riflettere sulle emozioni e sensibilità che ci si sente costretti a nascondere e sulla solitudine che “ognuno combatte come può”. Questo di Ozpetek ci sembra un bel metodo.
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