‘Io è morto’ di Alberto De Venezia. Un gioco psicologico tra realtà e sogno, un invito a credere a ciò che potrebbe non essere reale

Alberto De Venezia ha scelto come sua  opera prima un thriller psicologico, presentata alla 71esima edizione del Festival Internazionale del Cinema di  Venezia  in sala Pasinetti. Già dai titoli di apertura si intuisce di cosa si sta parlando. Il regista utilizza le macchie del test di Rorschach, dei disegni che vengono sottoposti ai pazienti al quale si chiede cosa vede in quella figura.

L'Io è Morto Locandina

Io è Morto Locandina

Io è morto

Un film molto interessante soprattutto con una sceneggiatura scritta dal  punto di vista psicologico della protagonista, interpretata dalla giovane Giulia Perelli, e non di facile impatto.  L’immagine si apre in una chiesa ed una bambina che prega. L’atmosfera è commentata da sonorità cupe, realizzate dall’autore Louis Siciliano (20 Sigarette), qui in veste anche di produttore, oltre che dalla colonna sonora, che ti fanno subito entrare subito in un atmosfera sospesa tra realtà e oniricità.

il produttore compositore Louis Siciliano

il produttore compositore Louis Siciliano

Gli attori principali sono due giovani attori, la già citata  Giulia Perelli e Andrea Cocco, affiancati da Marina Suma e Augusto Zucchi, attori già noti al pubblico. La recitazione è a tratti buona. Non sempre tutte le scene sono riuscite, ma questo è normale per un regista emergente.

La storia è un gioco che fa con lo spettatore, lo invita a credere a quello che sta vedendo, lo confonde con le immagini e chiede se ci sta o no a ciò che sta guardando. Non è un film convenzionale con una trama lineare, e da questo punto di vista è molto coraggioso come inizio.

Entra nella mente dei personaggi e tutto quello che avviene è frutto di un immaginario, che si confonde con fatti realmente accaduti che si sciolgono a mano a mano che il film scorre. Vengono lasciati degli indizi durante il percorso, tutto ciò che si vede non è mai casuale. Questo è quello che emerge da ogni inquadratura, e tutti i dettagli sono importanti per seguirne la trama, altrimenti ci si può perdere.

Quello che ti spiazza sono i colpi di scena, pensi di aver capito ma ogni volta vieni spiazzato, e fino all’ultimo ti chiedi quale sia la verità. Ti rapisce e ti porta dentro ad una trama sempre più intrigante. Il messaggio è che non esiste un solo modo di vedere le cose.

Intervista al regista Alberto De Venezia, una passione per il cinema divenuta realtà

Alberto De Venezia

Alberto De Venezia

Alberto De Venezia è un giovane talentuoso regista dell avellinese. Molti critici lo definiscono così. Ha iniziato da giovane ed è diventato produttore iniziando con piccoli cortometraggi e documentari tra cui Ei Fus, documentario sui tagli del fondo unico dello spettacolo e Nella Terra del cinema, sul quartiere di Cinecittà, ed alla fine ha deciso di aprire la propria casa di produzione, mettendosi in gioco personalmente e finanziando la sua opera prima.

Qual’è stato il momento in cui hai deciso che il cinema sarebbe diventato il tuo lavoro?

Ho sempre amato le storie, inizialmente mi piaceva scriverle poi ho conosciuto il linguaggio cinematografico ed ho capito che è la forma espressiva più vicina al mio animo. L’innamoramento con il cinema c’è stato quando ancora adolescente andai a Melfi sul set di “Io non ho paura” di Gabriele Salvatores mentre il matrimonio è avvenuto con la nascita della mia casa di produzione “Ipnotica produzioni”.

Come sei arrivato a scegliere il titolo del tuo film “‘Io è morto”? E’ stata la prima scelta o ha avuto delle evoluzioni?

Solitamente la scelta del titolo è l’ultima cosa da fare invece per me è stato l’input iniziale della storia. E’ stato il seme che ha permesso di raccontare che il tragico non è più solo nell’atto decisionale dell’uomo in rapporto al proprio carattere, ma soprattutto nel travaglio psicologico che lo accompagna e che trasforma l’essere umano nel suo opposto. Insomma “Io è morto” è il titolo giusto per un ordinario sentimento di vendetta di una persona vilipesa nel proprio intimo.

Essendo la tua opera prima, quali sono le problematiche che hai dovuto affrontare e quanto di nuovo hai imparato di questo mestiere durante la lavorazione?

Fare un film, dicevo qualche giorno fa, ti cambia dentro, ti migliora, ti eleva. Sul set oltre ad alcune titubanze fisiologiche dovute al fatto che fosse la mia opera prima, i veri problemi erano legati al budget che ci costringeva a girare anche 11 scene al giorno. Il film è stato girato in 12 giorni e voglio ringraziare sia gli attori, sia la troupe che ha resistito e sopportato questo tour de force.

Essendo complessa la sceneggiatura, come hai impostato il lavoro con gli attori?

Ho fatto molti provini ed ho scelto gli attori in base ad esperienze personali affini ai personaggi che avrebbero dovuto interpretare. Con l’aiuto della scenografia e della fotografia creavo l’atmosfera giusta che li aiutava ad entrare nella vita dei personaggi. Spesso senza dare tante indicazioni li lasciavo sul set qualche minuto in più del previsto facendoli innervosire o stancare a seconda del carattere in funzione di quello che stavamo per girare. Chi grazie all’introspezione stanilavskijana e chi grazie all’estraniazione brechtiana riuscivano a dare vita ai miei personaggi, o meglio ad essere i miei personaggi.

Infine qual’è la tua definizione di arte?

Per me l’arte è forza, bellezza e sapienza. Se dovessi descriverla con un’immagine penserei ad un bambino appena nato che piange perchè ha una sensazione di abbandono e di freddo. Ecco quella sensazione è l’arte per me!

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