Secondo appuntamento con il Sudestival 2016. Oggi parliamo del film Fino a qui tutto bene di cui nell’articolo pubblichiamo la recensione di un membro della giuria giovani del festival e l’intervista al regista Roan Johnson.
Fino a qui tutto bene
Ci sono anni che non si dimenticano mai. È con questa piccola didascalia che il regista, Roan Johnson, presenta Fino a qui tutto bene, un piccolo capolavoro del cinema italiano girato con un risicato budget di circa 250 mila euro, ma un’immensa voglia di fare da parte di tutta la troupe.
Ci troviamo a Pisa, in un piccolo appartamentino nella zona universitaria della città, dove cinque ragazzi si preparano a vivere gli ultimi giorni della loro vita da coinquilini. I protagonisti, infatti, saranno costretti ad intraprendere strade differenti, chi obbligato da un’inaspettata gravidanza, chi spinto da un’offerta di lavoro irrinunciabile.
Questa commedia è la versione cinematografica di un romanzo di formazione che rappresenta a pieno il passaggio dall’età universitaria a quella adulta, attraverso un mix di amori, dubbi, dolori e verità nascoste, che danno a questa pellicola il giusto appiglio per diventare una delle commedie di argomento giovanile migliori di sempre.
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Intervista al regista Roan Johnson
Ciao Roan, benvenuto su cinemio. Parliamo del tema di Fino a qui tutto bene. Partito come un documentario, come mai hai deciso di farne un film? Per le storie hai preso spunto da studenti reali che hai incontrato per il tuo documentario?
In effetti il film è partito perché l’Università di Pisa mi aveva chiesto di fare un documentario sull’ateneo e ho iniziato a fare interviste agli studenti che frequentavano quegli anni ma anche a ragazzi che stavano facendo il dottorato quindi più grandi e dalle loro storie sono emersi molti racconti che abbiamo portato nel film ma soprattutto una serie di temi e di ricordi che erano miei e della sceneggiatrice Ottavia Madeddu anche lei universitaria a Pisa qualche anno fa. Abbiamo riportato una sorta di sensazione di malinconia per un periodo molto particolare e unico nella vita dove si può ancora sbagliare, in cui si impara che non si può sbagliare solo sui banchi universitari ma anche nelle relazioni sentimentali, nelle amicizie: è un vero e proprio laboratorio di vita dove ci si forma e sono anni che non so se siano i migliori della nostra vita ma di sicuro non si dimenticano mai.
Fino a qui tutto bene è un film ‘dal basso’, totalmente autofinanziato. Vuoi raccontarcene i dettagli?
Fino a qui tutto bene è un film che è partito ‘dal basso’, da un’esigenza: dopo che avevamo parlato con questi studenti ho capito che non avrei potuto fare un documentario perché non avevo trovato un tema o una storia da seguire in forma documentale. Il fatto che nasco come sceneggiatore e regista di film di finzione ha avuto la sua parte ma il motivo principale era che non avevo trovato chi seguire concretamente per un mese e farci un documentario però questa urgenza, questa nostalgia ci era rimasta e quando ad Ottavia è arrivata l’idea di raccontare la storia degli ultimi tre giorni di una casa di ragazzi che hanno vissuto insieme quegli anni e anche quello dopo la laurea (parliamo di ragazzi che si destreggiano tra borse di studio, dottorati o disoccupazione) mi si è accesa la lampadina e ho capito che era l’idea giusta, una sorta di clessidra temporale dove tutte le tensioni, i segreti, di questi 5 amici che avevano formato questa strana famiglia potevano esplodere e fare il loro meglio.
Come hai scelto i protagonisti del tuo film e come hai lavorato con loro per creare il tipico cameratismo studentesco?
Ho scelto gli attori facendo dei casting qui a Roma, l’unico che era già nella mia mente era il Cioni, interpretato da Paolo Cioni, uno dei tre ragazzi oltre a Santamaria e Turbanti con cui avevo fatto I primi della lista. Abbiano subito trovato i nostri attori protagonisti e l’idea era fare delle prove il più lunghe possibile prima di girare, quindi li abbiamo fatti venire una settimana prima a Pisa e l’appartamento dove avremmo girato è diventato anche quello dove loro avrebbero vissuto concretamente. Noi non avevamo soldi per andare in hotel e abbiamo fatto del problema un’opportunità. Ho detto loro: ‘perché non abitate qua così diventerete coinquilini veramente e vivrete questo mese delle riprese come se foste amici che dividete una casa con tutte le gioie ed i problemi che comporta?‘. Credo che questo ha dato i suoi frutti perché loro sono diventati un gruppo stando sempre in quella casa, dormendoci anche la notte, facendo file al bagno e litigando se la pasta era venuta scotta. Questo ha dato molta verità al film.
Oltre ad essere regista sei anche sceneggiatore ed hai scritto un libro. Come concili questi ruoli ed in quali ti senti più a tuo agio?
Io sono entrato al Centro Sperimentale di Cinematografia come sceneggiatore e sono diversi anni che scrivo film e serie tv. La cosa buffa è che quando ho esordito alla regia girando l’episodio nel film 4-4-2 Il gioco più bello del mondo prodotto da Paolo Virzì, ero talmente stressato che ho deciso di lasciar perdere e ho scritto un libro pubblicato da Einaudi che si chiama Prove di felicità a Roma Est. Il cinema è un meccanismo, una macchina molto grande che in qualche modo ti fagocita. Più fai esperienza più riesci a gestirlo ma all’inizio ne sei un po’ travolto e questa perdita di controllo mi dava un po’ d’ansia. Dopo il libro sono tornato al cinema perché mi è arrivato il soggetto de I primi della lista.
Però è stato con Fino a qui tutto bene che in qualche modo ho capito cosa voglio fare da grande. Mentre giravo ho capito che la mia natura è più quella del regista che del romanziere perché sono una persona molto sociale che ama molto la sensazione di essere in una squadra e lavorare con una collettività di persone. Ed è stato mentre giravo Fino a qui tutto bene che ho capito che prima di tutto avrei fatto il regista. Questo finora ha voluto dire scrivere anche le sceneggiature ma per quasi tutte le cose che ho fatto in realtà partivo da qualcosa che non era mio. I primi della lista nasce da un racconto scritto da Renzo Lulli il protagonista vero della storia realmente accaduta, Fino a qui tutto bene è un soggetto fatto con Ottavia Madeddu ma che parte da una ricerca documentale con tanto materiale narrativo grezzo che abbiamo utilizzato. E poi c’è l’altra palestra della serie de I delitti del BarLume che parte dai romanzi di Marco Malvaldi quindi anche lì qualcosa che non è mia e che sviluppo insieme agli altri sceneggiatori. Quindi fare la regia in questo momento è la mia occupazione maggiore.
Quali sono i tuoi progetti futuri? Hai già una nuova sceneggiatura nel cassetto?
A settembre ho girato un nuovo film che si chiama Piuma e che per la prima volta non è ambientata in Toscana. Tutti i lavori che avevo fatto fino ad ora erano ambientati in Toscana in particolare in provincia di Pisa invece questo nuovo film Piuma è ambientato a Roma. Io abito a Roma ormai da 15 anni e quindi sono stato un po’ adottato dalla città e credo di conoscerla. Spero che, visti i risultati de I delitti del BarLume andremo avanti con altre serie. Ho già altre idee di film…vediamo…intanto a breve uscirà Piuma una commedia poetica che sicuramente ha assonanze di tono e di stile con Fino a qui tutto bene anche se parla di un tema completamente diverso come la maternità e paternità. Quindi il percorso continua…
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